Mission Impossible: The Final Reckoning
Alla sua ottava (e probabilmente ultima) "mission impossible" l'Ethan Hunt di Tom Cruise porta a compimento la sua sfida a un temibile nemico digitale, diventando una vera e propria icona del cinema action.
A due anni di distanza dall’uscita in sala di Mission Impossible: Dead Reckoning (2023), sempre per la regia di Christopher McQuarrie ( i due ultimi episodi della saga hanno richiesto complessivamente cinque anni di lavorazione), l’attore e produttore Tom Cruise, insieme al suo ormai collaudato team di lavoro, torna a colonizzare il grande schermo con Mission Impossible: The Final Reckoning, la chiusa di un’epica avventura seriale, nata sul grande schermo nel 1996 con il film omonimo di Brian De Palma, derivante a sua volta dalla serie televisiva di culto di Bruce Geller che a partire dal 1966 si proponeva di dare del filo da torcere alle mitiche avventure di James Bond.
L’impossibile sfida
«Si tratta di una storia incredibilmente complessa, in quanto riunisce elementi provenienti da molti capitoli diversi di Mission: Impossible – spiega a “Best Movie” di maggio il regista McQuarrie, amico e sodale del divo Cruise – . È come quando abbiamo fatto Top Gun: Maverick. Questo film non è solo uno dei due, è uno degli otto. Vogliamo che il pubblico si immerga nella storia del franchise in un modo che non ha mai visto».
McQuarrie, in effetti, non mente, dato che la pellicola non solo continua a sfoderare la struttura e gli stratagemmi di base del genere action e spy a cui appartiene (ritmo e azione concitati, colpi di scena, oltre a quelli suoi propri: dalle maschere usa e getta che replicano le fattezze umane ai nastri con i messaggi che si autodistruggono in pochi secondi), ma si accolla – come la precedente – un discorso più vasto sui confini tra analogico e digitale e sul minaccioso potere di quest’ultimo.
Squadra che vince non si cambia
L’inossidabile Ethan Hunt dovrà, per l’appunto, sventare il complotto più temibile: quello orchestrato da una misteriosa Entità che vive e si espande nella dimensione virtuale e mette a repentaglio il futuro del mondo sotto la minaccia di una guerra nucleare.
Come è naturale anche per un agente dell’IMF, per vincere conviene affidarsi sempre allo stesso team di collaboratori-antagonisti (e di attori: da Hayley Atwell/Grace e Pom Klementieff/Paris a Ving Rhames/Luther, Simon Pegg/Benji fino all’eternamente cattivo Esai Morales/Gabriel): una squadra affidabile sia sul set che al botteghino, in grado di indirizzare pubblico e critica al difficile esercizio della sospensione dell’incredulità lungo i 170 minuti di durata del film, costellati di sequenze tanto azzardate quanto spettacolari con protagonista Tom Cruise (vedi quelle centrali sott’acqua, nel sottomarino sepolto, e in volo, nella spericolata lotta tra due aerei da diporto). Nulla di nuovo rispetto agli episodi precedenti, anzi, una volontà precisa di precisare e definire i contorni di un cinema interamente votato al trionfo estetico del corpo dell’attore/divo.
Una scena con il cast di “M.I. The Final Reckoning”
Il malleabile corpo del divo
Ed è proprio con l’estensione massima e la valorizzazione delle sue potenzialità fisiche (così come quelle dei personaggi che gli ruotano intorno: che dire, infatti, di un Benji in grado di fornire a una sconcertata Paris indicazioni su come praticargli un drenaggio toracico per permettergli di respirare e, contemporaneamente, di guidare Grace a una procedura da cui dipende la sopravvivenza del mondo?) declinate dentro una trama al fulmicotone, che l’attore Tom Cruise modella il suo divismo contemporaneo su quello del passato.
Quello basato sulla fisicità dell’analogico, non sulla creazione di mondi artificiali tipica del digitale e, dunque, anche sulla possibilità di trasformare e ritoccare il proprio corpo a piacere, con il semplice intervento di un programma apposito. Cruise, in questo modo, ritorna a un cinema fisico e muscolare, scarsamente legato all’algida meccanicità delle leggi algoritmiche, e invece più connesso a un uso-abuso del proprio corpo, gettato in pasto alla macchina da presa nelle scene più pericolose senza protezione né controfigura. In fondo, lo stesso Harold Loyd, nella leggendaria sequenza di Preferisco l’ascensore (1923, per la regia di Fred C. Newmeyer e Sam Taylor), uno dei suoi capolavori, aveva scelto di girare in prima persona le celebri acrobazie appeso a un enorme orologio sospeso nel vuoto. E questo dopo avere già perso pollice e indice destri sul set, nel 1919.
Tom Cruise in una spericolata scena acquatica
Tra vecchia e nuova Hollywood
La vecchia Hollywood, insomma, sembra – nel cinema di matrice cruisiana, di cui la star di Syracuse è l’autentico Deus ex-machina – migliore, in premesse ed esiti, rispetto alla nuova. Persino la tanto bistrattata e vituperata (dagli esseri umani) Terra dovrà, per evitare l’estinzione, votarsi a sistemi analogici forse meno perfetti e ingegnosi rispetto a quelli digitali, eppure assai più affidabili in termini di sicurezza collettiva.
E si dovrà pure ricominciare a lottare contro avversari reali e non immaginifici, come – in fondo – ha sempre fatto anche il rivale numero uno di Ethan Hunt ( almeno in termini di colonizzazione dell’immaginario collettivo): l’agente 007 di fleminghiana memoria. Il quale – nell’ultimo capitolo del 2021, No Time to Die, per la regia di Cary Fukunaga – con le sembianze di Daniel Craig sceglie fra dolore, rimpianto e rassegnazione di soccombere a ciò che il destino ha in serbo per lui, scrivendo la parola terminale non solo dell’episodio in sé ma anche dell’intero, lunghissimo ciclo: il più longevo del suo genere, con uscite ininterrotte a partire dal lontano 1962.
Differente, invece, la decisione di Tom Cruise: sebbene l’epilogo di Mission Impossible: The Final Reckoning lasci pensare a un accomiatarsi conclusivo, è evidente che il personaggio di Ethan Hunt non ha alcuna intenzione di azzerarsi, andare in pensione o, addirittura, morire. Non sappiamo se, come e in che forma ritornerà: tuttavia, quel che è certo è possiamo immaginarlo come immagine eterna di forza, baldanza, giovinezza (anche quando l’età cronologica comincia a smentirlo), fatto della stessa materia da cui è impressionata una pellicola cinematografica dell’età d’oro di Hollywood. Intelligente materia, pienezza dell’azione. Puro cinema.
Un intenso primo piano di Tom Cruise, autentica star del cinema action
Mission: Impossible – The Final Reckoning
Origine: Stati Uniti, 2025, 170′
Regia: Christopher McQuarrie
Sceneggiatura: Erik Jendresen, Christopher McQuarrie
Fotografia: Fraser Taggart
Montaggio: Eddie Hamilton
Musica: Max Aruj, Alfie Godfrey
Cast: Tom Cruise, Hayley Atwell, Ving Rhames, Simon Pegg, Esai Morales, Pom Klementieff, Henry Czerny, Holt McCallany, Janet McTeer, Nick Offerman
Produzione: Paramount Pictures, Skydance Media, TC Productions