«La risonanza cardiaca è strumento utilissimo per diagnosi e terapie»
Intervista alla dottoressa Mariachiara Buffa, giovane cardiologa
ALESSANDRIA – In Italia le patologie cardiovascolari sono tra le principali cause e di mortalità e morbidità. Spesso chi è vittima di un evento cardiovascolare diventa un malato cronico e necessita di una terapia specifica e di un attento follow-up periodico, per monitorare la prognosi ma anche per migliorare la qualità di vita.
Oggi tutto questo è possibile anche grazie ai continui progressi diagnostici e terapeutico: ne parliamo con una giovane cardiologa, la dottoressa Mariachiara Buffa.
Dottoressa Buffa, come si è avvicinata a questo settore?
Dopo la laurea in Medicina e Chirurgia, mi sono specializzata in Cardiologia a Novara e ho conseguito un Master all’università di Padova. Le nuove tecniche mi hanno sempre affascinato e sono felice di occuparmi, a livello professionale, di Clinica e di Imaging Cardiaco.
Le ultime tecniche sono davvero così innovative?
Sì. Penso, per esempio, alla risonanza cardiaca, una metodica nuova ed estremamente promettente.
In che cosa consiste, nello specifico?
È un esame che misura l’alterazione tissutale del muscolo cardiaco e che permette di riscontrare la presenza o meno di un’ampia gamma di patologie. Si ottengono immagini ad altissima qualità del cuore nonché indicazioni importanti sia sotto l’aspetto morfologico (forma, volumi, dimensioni) che funzionale. Ma anche per quanto concerne il tessuto miocardico e il pericardio.
Molto più di una ‘semplice’ ecografia, quindi…
L’ecografia è ‘paziente dipendente’ e proprio per questo non può essere considerata completamente attendibile. Grazie ad una risonanza magnetica cardiaca, invece, è possibile valutare l’eventuale presenza di edema miocardico, cioè di tessuto infiammatorio che si può creare nelle miocarditi ma non solo.
La migliore ‘fotografia’ possibile, dunque, finalizzata all’individuazione della migliore cura possibile, giusto?
Proprio così, la funzione è diagnostica, ma al tempo stesso anche terapeutica.
Dottoressa Buffa, lei è figlia d’arte, perché sua mamma è stata medico di Medicina Generale per oltre 30 anni. Quanto è stata importante nella sua formazione?
Tantissimo. Ricordo che fin da piccolina dicevo di voler diventare medico anche io e ho ricordi splendidi legati alla sua professione.
Ce ne racconta almeno uno?
Ero molto curiosa e apprezzavo molto che la mia mamma cercasse di spiegarmi, ovviamente con termini comprensibili a una bambina, quali patologie trattasse in quel momento. Oggi sorrido a ricordare il modo in cui mi spiegò il concetto di ‘esoftalmo’ (comunemente noto come ‘occhio in fuori’, nda).
È soddisfatta del percorso professionale che ha intrapreso? E che cosa vede nel suo futuro?
Molto. E ci tengo a ringraziare la mia famiglia, che mi ha sempre sostenuta e che mi ha dato la possibilità di studiare. In futuro vorrei proseguire su questa strada, è un settore in costante evoluzione e bisogna sempre aggiornarsi
In base alla sua esperienza, che cosa significa essere un giovane medico oggi?
Non ho un termine di paragone con il passato, però posso dire che non è certo semplice. Bisogna sempre essere presenti, i pazienti lo richiedono, e soprattutto serve non essere frettolosi. Credo che sia importante creare un rapporto empatico con le persone, che non sono ‘semplici’ casi clinici. E poi ritengo fondamentale mettere in pratica un insegnamento che ho imparato da mia madre.
Quale?
Il confronto. Condividere assume un peso notevole, serve sempre una visione di insieme, anche con i medici più esperti, per capire la strada migliore da seguire.