«Ai giovani medici consiglio il confronto. E di essere meno rigidi»
Intervista alla dottoressa Renata Canepa, per oltre 30 anni medico di Medicina Generale
ALESSANDRIA – Una carriera ultra trentennale, conclusa a inizio 2023 con la meritata pensione. La dottoressa Renata Canepa, alessandrina, ha prestato a lungo servizio in qualità di medico di Medicina Generale e racconta un percorso ricco di soddisfazioni, analizzando soprattutto il punto di vista umano del proprio lavoro.
Una chiacchierata dalla quale emergono anche alcuni consigli rivolti a chi, viceversa, si sta avvicinando alla professione: suggerimenti – aggiungiamo noi – forniti con umiltà e rispetto da una persona che – oltre ad essere un bravo medico – ha saputo farsi volere bene dai propri pazienti.
Dottoressa Canepa, come si sta in pensione?
Bene (sorride, nda) anche perché sono soddisfatta del mio percorso lavorativo. Mi rendo conto di essere stata fortunata, ho fatto il lavoro che volevo fare e ho potuto seguire con costanza i miei pazienti. Cosa che, per esempio, un medico ospedaliero non può fare.
Lei ha cominciato a lavorare nei primi anni 90: a suo avviso, la professione è cambiata in questo lasso di tempo?
Moltissimo, anche a causa di una burocrazia che è sempre più impattante e che costringe il medico a fare i conti con tanti aspetti non legati direttamente al proprio lavoro.
Riscontra delle differenze a livello di preparazione?
I medici della mia generazione, probabilmente, era meno preparati: a quei tempi non c’erano i tirocini, per esempio, e noi venivamo mandati direttamente ‘sul campo’. Oggi ci sono molte più opportunità, che ho potuto verificare in prima persona dal momento che io stessa ho fatto da tutor a diversi giovani.
Le nuove generazioni, dunque, partono da una posizione di vantaggio, almeno da una certa prospettiva…
Si, ma in base alla mia esperienza mi sento di dire che forse servirebbe un po’ più di elasticità. A volte i giovani sono un po’ rigidi sulle loro posizioni, anche in considerazione dei tanti ‘paletti’ che devono rispettare. Mi preme, però, sottolineare un aspetto: non bisogna mai generalizzare, ci sono tantissimi medici bravi anche tra le nuove leve.
Quanto conta l’aspetto umano?
Secondo me tantissimo. Non va mai dimenticato che un mutuato è prima di tutto una persona, non un semplice caso clinico. Oggi forse c’è la tendenza a considerare i pazienti un numero e ritengo che non sia corretto.
Immaginiamo che il medico stesso possa affezionarsi a una persona che segue per diverso tempo…
Certo, io ho avuto la fortuna di curare tre generazioni di pazienti e devo dire che è stata un’esperienza splendida prima di tutto da un punto di vista umano.
È cambiato anche il modo di porsi del paziente nel rapporto con il proprio medico?
Ho lavorato a lungo in un paese (Cantalupo, nda) e ho apprezzato molto la mentalità seria, rispettosa, quasi d’altri tempi, che si respirava in una realtà simile. Al giorno d’oggi le dinamiche forse sono diverse, ma credo che sia un discorso molto più ampio e generale, non solo limitato alla relazione tra medico e paziente.
Ha un ricordo al quale è particolarmente affezionata?
Ce ne sono diversi, credo sia normale dopo tanti di lavoro. Io sono molto legata a un episodio tanto banale quanto per me importante.
Ce lo racconta?
Tanti anni fa portai mia figlia piccola in ambulatorio e le diedi dei fogli e una biro per ingannare l’attesa disegnando. Una mia paziente se ne accorse e alla visita successiva si presentò con dei pastelli in regalo per la bambina. Se proprio doveva aspettare che la mamma finisse di lavorare, meglio farlo con l’attrezzatura giusta! Questa signora, che purtroppo non c’è più da diversi anni, è una delle pazienti alle quali sono più legata.
Che consiglio darebbe a un giovane medico che si avvicina alla professione?
Di metterci cuore, passione e soprattutto di cercare costantemente il confronto. Meglio essere prudenti che troppo sicuri di sé: cercare un supporto, per esempio di specialisti, è fondamentale.