Vita e longevità dei valenzani nel tardo Cinquecento
Un viaggio indietro nel passato di Valenza
VALENZA – Nel XVI secolo la città è concepita come l’ambiente ideale della vita dell’uomo, come un luogo di convivenza civile, di armonia e di bene comune per gente scaltra e piena di spirito e di saggezza. Anche l’amore, la libertà umana e la fine della vita sono tematiche importanti in quest’epoca. Si affermano molti dotti sul piano letterario, artistico, scientifico e culturale.
In quest’epoca sussiegosa, diversi i valenzani emergono per la loro erudizione o maestria: i Belloni (Fabio, Paolo, Ottobuono, Nicolao, Carlo) in giurisprudenza; Vincenzo Scapitta per la musica; Agostino Bombelli per la pittura; Roberto Annibaldi, Bernardo Annibaldi, G. Stefano Annibaldi, Filippo Aiazza, Francesco Vaschi, Giorgio Luffi, Ruggero Spinori come attivissimi studiosi e professori universitari. Per il loro valore militare, invece, ricordiamo i seguenti personaggi: Pompeo Campi, ingegnere nell’esercito spagnolo in Fiandra nel XVI secolo; Antonio Dardano, capitano d’artiglieria al servizio di Pio V nel XVI secolo; Carlo e Teodoro Annibaldi, capitani di lance del Duca di Savoia nel XVI secolo, Vespasiano e Carlo Stanco.
Le spezierie di Valenza, tra farmacie ed erboristerie, sono luoghi che richiedono il personale più sapiente; per questo, sono spesso condotte, con il loro cinismo colto e vanitoso, da maestri generalmente congiunti delle famiglie possidenti, quali gli Schiffi, i Salmazza, gli Aribaldi o Annibaldi.
A Valenza, gli iracondi occupanti spagnoli cercano con scarso successo di dotarsi di un buon sistema di difesa, di mantenere un ambiente salubre e di agevolare un buon rifornimento di derrate, anche per combattere le malattie e i deterioramenti cognitivi di anziani e veterani.
I ricchi vivono in modo grandioso e raffinato, mentre il popolo vive in modo misero; nelle case della gente comune spesso si soffre la fame. A volte tra le famiglie più quotate nascono dissidi per i motivi più vari. Nel 1575 da una rissa tra la famiglia Arcimboldi e la famiglia Guazzo, si produce una conflagrazione generale dai toni surreali (una sorta di copione shakespeariano, una Giulietta e Romeo valenzana) sedata con difficoltà dalle forze del governatore Ernando Acosta e del podestà Agostino D. Squarzafico. L’aggressività la fa da padrone e non consente quasi mai di prendere provvedimenti condivisi, ci si accoltella per un nonnulla. L’amicizia è spesso basata sulla menzogna e definirli dei camaleonti pare quasi un eufemismo.
I nomi delle famiglie più benestanti del periodo sono i seguenti: Arcimboldi, Annibaldi, Basti, Battezzati, Bellingeri, Bombelli, Cagnoli, Camasio, Campi, Chiesa, Della Chiesa, Dina, Fracchia, Gattinara, Gaudino, Guazzo, Lana, Leccocorvi, Maggi, Novale, Orsi, Perego, Porta, Romussi, Salmazza, Scapitta, Schiffi, Scotto, Turone, Vapiano, Vimercate, Zuffi e altri.
Nel 1584, vengono istituiti i nuovi ordinamenti comunali, approvati dal re di Spagna il 26 gennaio 1585 e editi nello stesso anno. Essi resteranno in vigore fino al passaggio di Valenza alla casa Savoia. Quest’importante riforma statutaria avviene per opera di due giureconsulti, Vincenzo Annibaldi e Oliviero Panizzone Sacco.
Nel 1596, il popolo esasperato fa deflagrare gravi tumulti per l’irrisolta mancanza del pane, una sintesi di lotta per la sopravvivenza, anche politica e sociale. I metodi di una volta hanno disgustato i valenzani e ora la gente vuole qualcuno su cui gettare la croce, senza andare troppo per il sottile. Tra l’indignazione, la protesta e il sarcasmo, diversi amministratori comunali vengono minacciati di morte. Seppure in pessime condizioni, il comune, che ha al timone il podestà Giovanni Pietro Rossignoli, è costretto a provvedere affinché non venga a mancare questo nutrimento alla popolazione e al presidio militare.
Molte sono anche le liti del comune con il fisco ducale, sulla scorta di un convincimento che ha radici antiche. Il governo spagnolo usa con maestria l’arte dello spionaggio anche in queste faccende. Dal 1594 al 1611 il governatore della città è il capitano spagnolo Alonso Bezzerra, già Governatore nel 1576-77, tutore strenuo dell’ordine e delle sue prerogative.
In questo tempo, l’aspettativa di vita alla nascita è ancora bassa, condizionata soprattutto dalla mortalità infantile. Una volta superate le fasi più critiche dello sviluppo, anche le più suscettibili a malattie di tipo batterico, guerra e fame, la vita media è di 40-50 anni, cioè quasi la metà dell’aspettativa di vita attuale; tra la popolazione benestante, invece, la speranza di vita è tra i 60 e gli 80 anni.
Negli ultimi anni del Cinquecento un medico spagnolo, Bernardino Triverio di Santia, traduce in italiano dallo spagnolo un trattato di anatomia del Dottor Luis Lobera de Avila, medico di Carlo V Imperatore, dal lungo titolo “Fabbrica dell’Huomo que sotto figura o visione di torre, si vede una breve e compendiosa Anatomia del corpo humano”. A questo, il dottor fisico Bernardino Triverio di Santia aggiunse un “Breve, curioso et compendioso discorso dell’Huomo et alcune sue membra et attioni loro e dignità, in che egli precede ed è più prestante degli altri animali”.
L’opera contiene un curioso studio sulla longevità dei valenzani del Cinquecento. Terra opulenta, vini gagliardi ‘‘et spatiose contrade”.
Da questo breve lavoro, di un potente egocentrico di passaggio, affiorano alcune osservazioni che, seppur confutabili, sono una magnifica lode apologetica alla salubrità dell’aria di Valenza e alla senescenza, in netto contrasto con la situazione generale del luogo e in qualcosa che forse non è mai esistito.
Il Triverio elenca alcuni personaggi famosi della Valenza di quel tempo, noti per la loro longevità. Egli scrive: “In Valenza vicino al Po, ove ora son e scrivo questo il Dottore di Leggi Enrico Dinna visse 95 anni, mentre il figlio morì a 84, e la Signora Margherita Stanchi, madre del Signor Giovan Francesco Aribaldi, 80 anni, e Gian Paolo Bellone 80 anni. Un contadino, Antonio Vapiano, di circa 90 anni, ancora lavora la sua vigna e Massimo Del Pero aveva 80 anni, Giovanni Antonio Novale 82, Angela Bellone 70 anni.”
La loro età avanzata era eccezionale per quei tempi, ma, escluso il contadino, lo scritto analizza personaggi noti, di elevata classe sociale, che vivevano in modo grandioso e raffinato prima di entrare nel regno dei cieli, a differenza del popolo retrogrado, che viveva in modo misero e che non poteva rimpiangere gli agi perché non ne aveva mai avuti, con le ovvie conseguenze.
Ciò che accomunava questa gente era il cruccio della durata breve dell’esistenza. Nonostante la bassa aspettativa di vita, però, in quei tempi a Valenza c’era una certa serenità nei confronti della morte, dettata dalla credenza che essa fosse solo fisica e che lo spirito non scomparisse. La mors repentina, invece, era una delle più temute, perché, la maggior parte delle volte, significava morire di peste o morire assassinati. La morte repentina era infamante e vergognosa. Qualcuno cercava di ritardarla con rituali ed esorcismi, tentazione che ha sempre contraddistinto la vita umana poiché l’ignoto fa paura.
Continuando lo scritto, il medico spagnolo, in quanto profondo conoscitore della materia, si pone il dilemma di individuare le ragioni di questa longevità.
Egli scrive: “In questa nobile et honorata terra di Valenza vi è buon’aria, salubre et temperata non havendo stagni, paludi né boschi o selve vicine, che sogliono rendere cattiva l’aria et affoscata, per essere talmente situata che i due venti più cattivi non possono nuocere molto, cioè Tramontana et Ostro, o ver Marino, come si dice volgarmente. Da una parte il Po a Nord ripara dalla tramontana, e dall’altra, a Sud le colline e le Alpi Marittime sono di grande e vantaggioso baluardo”. Poi aggiunge: “Oltre il sito salubre et buono, è parimenti dotata di molte ricche qualità essendo assai opulenta la terra et abondante di buoni fromenti, de buonissimi vini gagliardi, sostantiosi e stomatici, bianchi e neri, al paro quasi di quelli di Chio, Cipro, Candia, Pelaio et Santo Martino, del quale se ne conduce in molti et lontani paesi, come ottima bevanda. La terra poi è bella et ariosa, con belle e spatiose contrade, chiese e case grandi et honorevoli, al paro quasi o poco meno di Città, ove habitano molti Signori dottori, capitani, alfieri, gentilhuomini, mercanti et altre persone honorate in lettere, arme et eserciti d’ogni sorte”.
Quale più eccellente giudizio e opportuna valutazione di quella fatta da un medico spagnolo sopraggiunto a Valenza per le bizzarrie della storia poteva essere pronunciata su Valenza e sulle sue genti in questi anni?
A sostegno della sua tesi, il Triverio riporta, aggiungendo parole sue, una canzone di un suo collega Giacomo Lana, “medico patriotta”, e pure in questa circostanza si tratta di un importante e interessante documento storico per Valenza in salsa spagnola.
“L’honorata Valenza è degno foro chel magnanimo e forte Capitano hebbe già fondato Fulvio Romano, de merci, e a lato ha’l fiume ricco, e d’oro. Cortesi spirti con gentil decoro produce e cria di si alto e soprano valor ch’agguaglia ogn’altro colle o piano, con abondanza d’ogni bon ristoro. Qui capitani, alfieri, e assai dottori, huomini d’arme, nobili casate e famosi ci son procuratori. Il del benigno, i colli, campi e fiori, de bei giardini e vigne verno e state, rendono l’aria salubre e longa etate”.
Triverio aggiunge: “Più facilmente longevi sono i membri degli ordini religiosi, sia frati che monache, i quali pervengono all’età assai decrepita si per la cagione del loro vivere ordinato, o pur che non si risolvano per il coito et atto venereo come gli altri, et sono di temperatura diversa, chi grassi, chi magri, chi di complessione calida, chi fredda, alcuni humidi, altri sechi”…… “A comparatione d’altri vivono assai più li macilenti e secchi di complessione che gli altri grassi et humidi”.
Lo spirito della Controriforma porta il Triverio a lodare la vita monastica, che per lungo tempo era stata oggetto di controversie, con insinuazioni di lussuria e peccati di ingordigia, non in linea con i dogmi e fuori dall’orbita del buon senso.
Nel 1585, il padre provinciale viene supplicato di non concedere più abiti sacri perché molti valenzani non particolarmente devoti vogliono farsi frati o preti per aver un riparo dalla fame e dalla disperazione, per evitare dazi e gabelle e, soprattutto, per le conseguenze della cosiddetta Peste di San Carlo – la terribile pestilenza che colpì il territorio nel biennio 1576-1577 – che ha fatto molte vittime anche a Valenza, malgrado il decantato clima e la salubrità dell’aria secondo il nostro buon Triverio, il quale però segnala solo un contadino con una lunga vita.
Ma perché, su una popolazione di circa duemila persone – tante ne contava Valenza alla fine del Cinquecento – nello scritto solo dieci risultano longeve? Forse il Triverio, nel suo smodato tripudio, ne ha dimenticate alcune, soprattutto quelle di basso censo che hanno un’alta rappresentanza numerica.
L’aria e il buon vino locali saranno un toccasana, ma la popolazione non è così soddisfatta. Valenza continua a essere depredata da lestofanti e sottoposta a pesantissimi balzelli dai governanti spagnoli, e molta gente vive nella miseria senza troppe amenità.
Per farla breve: non è tutto oro quel che luccica sul palcoscenico della vita nostrana. E, a proposito di oro, il Triverio declina a suo modo che è raccomandabile “l’oro portabile” che, pigliato con sapienza, risulta molto efficace per raggiungere la longevità.
Pertanto, anche se ogni cosa, che ci appare grottesca in questi strambi tempi che noi abbiamo in sorte di vivere, andrebbe rapportata al suo tempo, a questa sorta di simil dogma buono, forse per compiacere qualcuno, siamo costretti a mettere in evidenza questa pungente riflessione enfatica: viene difficile immaginare che oggi l’età media dei valenzani è molto elevata e che esistono in gran quantità gli ultraottantenni, tanto da creare non pochi problemi sociali, non sia perché si sono messi a manipolare l’oro nel loro lavoro, ripudiando la lavorazione della campagna, la coltivazione del grano e la produzione del buon vino locale?