Valenza a fine Novecento
Un nuovo viaggio nella storia della Città del Gioiello
VALENZA – Alla fine del Novecento, nel nostro Paese l’economia è poco presente nei settori avanzati e i salari sono soffocati da una pesante tassazione, tra le più alte al mondo, necessaria per far fronte all’elevato debito pubblico, e di contributi sociali da record, indispensabili per pagare le pensioni a un paese sempre più composto da anziani. A subire i contraccolpi maggiori della crisi globale è l’industria manifatturiera di cui fa parte l’oreficeria, che a Valenza corrisponde ai due terzi dell’occupazione totale, il doppio rispetto al dato nazionale.
A cavallo tra i due secoli, Valenza subisce un’abbondante trasformazione, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista sociale e ambientale. È scomparsa la grande illusione, i ceti medi, in progressiva sparizione, si livellano su fasce di reddito sempre più basse e l’occupazione diminuisce, provocando notevoli problemi di carattere sociale. Il distretto orafo valenzano non può rispondere agli attacchi dei nuovi competitori a livello globale, che possono avvalersi di strategie quali il dumping o il ricorso a vere e proprie pratiche di contraffazione illegali dei prodotti, utilizzando manodopera a basso costo, parcellizzando il lavoro e riducendolo nei contenuti qualitativi. Sembrava iniziata una fase declinante invece il divario di costi tra i nostri e i loro prodotti è in alcuni casi ancora abissale. Questa città con un qualunquismo diffuso non è più il centro felice di qualche lustro prima, ma qui si pensa ancora di essere i più belli e i più furbi del reame; purtroppo, anche molti numeri e statistiche che vengono date in questo periodo sono paurosamente fasulle e ingannevoli, perciò da considerare estremamente variabili, perfette per simboleggiare una Valenza finta fuori dal tempo, e rendono difficile progettare cure e ritrovare lo slancio.
È quasi scomparsa la generazione di imprenditori che hanno iniziato la loro avventura nel dopoguerra, gente che ha conosciuto un po’ di tutto, ma con tanti successi. Ora solo alcune imprese leader riescono a imboccare nuove strade, mentre altre non riescono a guardare al futuro. L’operatore valenzano di maggiori dimensioni è Damiani. Tra non molto, anche la celebre A.O.V. rappresenterà più neppure se stessa.
Associazione Orafa Valenzana 2000-2002
Nel 2000 si realizza lo stesso un certo exploit, tanto che nel 2002 la fatturazione (non la produzione) risulta quasi raddoppiata nel giro di soli cinque anni, si lavorano circa 30 tonnellate annuali d’oro e l’80% delle pietre preziose importate in Italia. L’export si attesta intorno al 70% della produzione. Alcune aziende, però, sono già in consistente crisi e si avanzano le prime diffuse richieste di cassa integrazione. Ma i salari sono ancora superiori a quelli previsti dal contratto, con una larga diffusione del lavoro nero, e, di conseguenza, la conflittualità sindacale è come sempre limitata. Nelle nuove aree attrezzate valenzane serpeggia un certo sconforto poiché le premesse di una decina d’anni prima erano ben altre. In quella orafa, di 196.231 mq di superficie, sono insediate 48 imprese; in quella mista non orafa, di 93.400 mq, ne sono insediate 30. I livelli di produzione orafa risultano nettamente inferiori alla metà di quelli di circa venti anni fa. Valenza si sta sgonfiando come un pallone. Le cause sono note: ha inciso la domanda interna, ma specialmente il crollo di quella mondiale. Le imprese orafe attive sono circa un migliaio e la forza lavoro si è ormai ridotta fra i 6.000 e i 7.000 addetti.
L’imprenditore valenzano, deve adoperarsi sempre più per adeguarsi agli infiniti obblighi e, per farlo, si prosciuga dei soldi e dell’anima, passando buona parte del suo tempo tra procedure burocratiche, che spesso servono solo a dare lavoro a uffici e professionisti – si spendono molte migliaia di lire mensili a dipendente per pratiche e adempimenti. Però, l’imprenditore orafo, per quanto si adegui, sarà sempre considerato un fuorilegge, perché così pare pensato il sistema. Spesso è un evasore, vero o presunto, che non ha intenzione di fregare qualcuno, poiché anche lui vorrebbe essere in regola, ma in questi anni se non evade chiude: motivazione che non persuade granché il fisco.
Eppure a Valenza ci sono circa un migliaio di famiglie che possono permettersi di vivere a lungo di sola rendita e che la politica non sa da che parte brandire. La città, che per quasi un secolo ha vissuto sulla monoeconomia dell’oreficeria, affiancata dalle calzature sino al secondo dopoguerra, in una condizione solitamente buona e in certi periodi ottima, è ormai duramente colpita dalla globalizzazione. Dietro certe scelte s’intravede anche l’ombra di uno strabordante amor proprio, fatto di presunzione e di senso di superiorità, anche per colpevole insipienza.
Qui c’è una popolazione marcatamente anziana, con quasi 5mila pensionati (nel Paese sono circa 15 milioni), 70 ogni 100 occupati. C’è un forte della natalità e un sensibile mutamento della composizione e della struttura familiare: la tipologia prevalente è quella con un solo figlio (33%), mentre quelle con la presenza di due o più figli costituiscono il 20%. I giovani sotto i 25 anni vivono con i genitori, senza fretta di crescere, quasi ritardando il passaggio ai ruoli adulti. Anche negli anni Cinquanta le nascite a Valenza alimentavano poco la popolazione, ma allora lo sviluppo dell’industria orafa aveva fatto presa, richiamando numerose ondate migratorie. Poi esaurita l’immissione di giovani “più produttivi di quelli locali”, la natalità è calata nuovamente al di sotto di ogni previsione.
C’è una leggera prevalenza delle famiglie monoreddito (28%) sulle famiglie a doppio reddito (26%). Tra le prime si evidenzia un’alta percentuale (18%) in cui è la donna a farsi carico del mantenimento della famiglia. Nelle generazioni più giovani si raggiunge una quasi sostanziale equivalenza di contribuzione. S’impone la famiglia formata da due persone (2.772 nel 2001, 2.496 nel 1991), che sono poco meno di un terzo. Al secondo posto, e questa è una novità, c’è la cosiddetta famiglia unipersonale, meglio definita “single” (2.661 nel 2001, 2.118 nel 1991). A confermare un certo svuotamento dell’istituzione familiare emerge la crescita sensibile delle cosiddette convivenze o unioni libere, di fatto. Nel 2001 ci sono 131 padri soli con figli e 746 madri sole con figli; le coppie senza figli sono 2.170 e quelle con figli 2.989.
In questi anni i maschi valenzani hanno il primo figlio dopo aver superato i 33 anni, 4 anni in più rispetto alla generazione di chi è nato negli anni Cinquanta, con tanti già incanutiti che ripudiano di accollarsi la responsabilità di una paternità. Mediamente, le donne a Valenza diventano madri per la prima volta a 27 anni, tre anni più tardi della generazione precedente. Per molte l’idea della maternità si pone in vista solo di fronte allo spettro biologico, che scandisce il tempo di una menopausa sinistramente vicina. Il fenomeno dell’uscita dal mercato del lavoro a causa dell’arrivo dei figli non è per nulla scomparso.
Se alcune donne sono ancora sotto il dominio psicologico del marito, la maggior parte sono ormai evolute. Le nonne di questi anni sono state mogli casalinghe che cucinavano meravigliosamente e che allevavano marmocchi, ma non dovevano essere magre e sode, in carriera e forse neanche intraprendenti sotto le lenzuola. Ora, invece, le lei devono far fronte a tutto: sempre di corsa, affamate, insoddisfatte, in guerra contro il tempo, il traffico, le rughe, i chili di troppo e i colleghi rampanti. La donna moderna, che spesso ha un’istruzione superiore al marito e vuole lavorare, sovente non vuole fare figli. Il maschio è all’angolo e qualche volta morde, la sopraffazione dell’uomo sulla donna avviene, sovente e ancora, solo perché egli è più forte fisicamente, pur se ormai si manifesta un indebolimento della vecchia figura paterna, ma nulla fa però presagire il populismo femminista di oggi che assegna alle donne il ruolo di vittime.
In questi anni di fine secolo, i comportamenti dei valenzani restano ancora molto differenti tra uomo e donna. Di queste il 24% esce raramente di sera, il 21% mai e il 21% saltuariamente; solo il 6% esce più di due volte la settimana, frequenza che è prioritaria tra gli uomini (25%), che escono occasionalmente per il 23% e 1 o 2 volte la settimana per il 22%. Solo l’8% dice di non uscire mai.
Nel 2001 la popolazione residente occupata è così distribuita: 132 nell’agricoltura, 4.926 nell’industria, 1.681 nel commercio, 110 nel trasporto, 605 nel credito-assicurazioni e 1.302 in altre attività. Il totale degli occupati è di 8.756 (nel 1981 era di 9.456 e nel 1991 di 9.139).
I dati relativi al reddito indicano una situazione di agio solo per una fascia alta di valenzani. Tanti, invece, si trovano al di sotto della soglia di povertà. Eppure, passeggiando per la città, si ha ben altra impressione, essendoci quasi più banche che bar. Dove sono i cosiddetti seimila che soffrono in silenzio? Mah. Nel 1995 l’imponibile medio IRPEF per contribuente valenzano è stato di 18,660 milioni di lire e l’imposta IRPEF media per contribuente è stata di 3,069 milioni, tutto al di sotto delle medie provinciali, regionali e nazionali. Ma, se si frulla tutto insieme, il reddito disponibile pro capite del 1995 è calcolato superiore ai 30 milioni di lire, un 17% in più di quello provinciale, 14% in più di quello regionale e più 35% in più di quello nazionale. La ricchezza immobiliare media del 1998 (abitazioni private) è di 81,382 milioni. L’ICI versata per abitante (media) nel 1998 è di 452.841 lire.
In questi anni, nella dichiarazione del reddito, una parte degli imprenditori orafi e dei commercianti locali d’ogni genere continuano a guadagnare meno dei dipendenti e il reddito medio più consistente sembra essere quello dei pensionati. Dato che le medie statistiche sono realizzate agglomerando tutte le imposte o i redditi dei contribuenti, vuol dire che c’è qualcuno che paga ben di più del dato medio indicato e qualcun altro che dichiara nulla o ben poco. È difficile credere che il proprietario di un’azienda o di un esercizio possa guadagnare meno dei subordinati o dei ritirati dal lavoro. Altro che senso del dovere, ormai gli orafi si tramandano la griffa d’evasore da generazioni, come un allegato araldico. Si arricchiscono i commercialisti e si lascia ai tartassati, impossibilitati a evadere il fisco, l’onere di una fiscalità dissennata. Guardando le tabelle del fisco, si scopre che i negozi e i bar guadagnano come un operaio, meno le parrucchiere e le estetiste, ancora meno gli ambulanti, mentre molti imprenditori lavorano in perdita alla ricerca dell’identità smarrita e molti professionisti, con un’aria di sarcasmo e insofferenza, si barcamenano con un reddito pari a quello di un pensionato statale.
Gli abbonati al telefono per uso privato sono circa 9mila e le autovetture circolanti circa 13mila. Le linee per abbonati al telefono affari sono circa 5mila (10mila in tutta la provincia). Gli sportelli bancari sono 15, con più di 200 addetti. Gli abbonati RAI valenzani sono circa 8mila (in provincia 150mila). Il consumo dell’energia elettrica per consumi domestici dei valenzani è di circa 2.500 KWh (media utenti), superiore a quella provinciale che è di 1.900 KWh.
Dai dati di un’inchiesta, la maggior parte dei giovani dichiara di vivere abbastanza bene a Valenza, ma senza grandi entusiasmi; solo il 5,2% dei rispondenti sostiene che in città si viva molto bene, mentre quasi il doppio sostiene che si viva molto male. Tra i valori più importanti dei giovani valenzani si trova l’amicizia, seguita dalla famiglia e poi dall’amore. L’uso del tempo è ancora il principale aspetto d’insoddisfazione della vita di questi giovani valenzani nei primi anni del Duemila. Per loro, infatti, sono molte le cose che mancano. Con il teatro chiuso dal 1994 e l’assenza di un cinema, ai giovani mancano spazi dove ritrovarsi con gli amici, locali e discoteche dove ballare e ascoltare la musica, impianti sportivi diversi dai campi di calcio, ecc. Non vogliono neanche sentir parlare di fare certi lavori (idraulico, falegname, sarto, ecc.), nonostante un mercato occupazionale che promette qualificazione e stabilità, e restano sulle spalle di mamma e papà, in una posizione di mera attesa, forse un’occasione mancata. Sono moralisti e irreggimentati quasi per natura, un momento critico è la ricerca di un vero partner sentimentale. Ma in questa città c’è anche stata una popolazione giovanile piuttosto arrendevole che negli ultimi decenni ha goduto di un benessere ininterrotto e crescente, sovvenzionato dai familiari con generosità talvolta eccessiva.
Quando i giovani sono da soli, le loro attività del tempo libero vengono essenzialmente svolte in casa e consistono nel guardare la televisione o un film in cassetta, giocare con il computer, la playstation, i videogiochi, navigare su internet, telefonare o mandare sms con il telefonino, mangiare, dormire e, dalla stessa inchiesta del 2002, emerge che ben 15 ragazzi su 100 sono impegnati in attività di volontariato, che lo vivono come un impegno stimolante, appagante, che aiuta a crescere. Sarà un bene molto prezioso per la città. Per quanto riguarda la popolazione residente per fascia di età, si registra una marcata diminuzione di giovani: se nel 1981 si avevano 100 giovani dai 15 ai 29 anni, nel 2001 se ne hanno solo 71.
All’inizio del nuovo millennio (ottobre 2001), a Valenza ci sono 2.492 casalinghe e 4.679 ritirati dal lavoro (erano 3.322 e 4.383 nel 1991); gli occupati sono 8.756, un valore alto rispetto alla media nazionale. La maggior parte dei valenzani sembra ancora felice di vivere dove vive, al contrario della popolazione nazionale. Nel 2005, alla domanda “come si vive a Valenza?” i valenzani rispondono “abbastanza bene”; lo pensa il 69,6% delle persone dai 18 ai 34 anni, il 71,4% di quelle dai 35 ai 54 anni e il 65,8% di quelle che hanno superato 54 anni. Apprezzano in particolare il tipo di lavoro, l’abitazione, la tranquillità e i servizi. Alla domanda su quali siano i loro principali problemi, rispondono: l’occupazione (43%), la crisi orafa (20%), il costo della vita (17%), la mancanza di centri di aggregazione (17%). I comportamenti gravemente censurabili sono: dare lavoro in nero, costruire abusivamente, affittare senza regolare permesso, non pagare il ticket e tariffe varie e danneggiare il patrimonio. Nutrono molta fiducia nelle Forze dell’Ordine (80%), poca nel sindacato (30%) e pochissima nei politici (10%).
La popolazione over 65 valenzana cresce a un ritmo mai riscontrato prima: nel 1981 c’erano 100 abitanti con età superiore ai 65 anni, mentre nel 2001 essi sono diventati 133. La famiglia basata sul legame di sangue, dove il ruolo dell’anziano era tutt’altro che secondario, e anzi egli costituiva il punto di riferimento per le scelte quotidiane, ha perduto il suo significato e il suo valore ed è stata surrogata da una famiglia in cui prevale il rapporto sentimentale all’interno della coppia. Tutto questo produce, in nome di una concezione d’efficacia e produttività della vita, una lenta e crescente emarginazione dell’anziano. Non è più il vecchio capace di pilotare la famiglia con la sua esperienza e la sua saggezza, ma un qualcosa di relegato nella sua abitazione, da utilizzare per qualche scopo e, quando non più all’altezza, un peso morto da sopportare o, il più delle volte, da rinchiudere in qualche istituto. Prima, se le finanze lo permettono, si prova con la badante, poi si passa all’ultimo stadio, cioè al ricovero. Però una buona parte dei nonni valenzani non sono soggetti tanto scomodi, ma un’indispensabile risorsa per far quadrare i bilanci familiari e un aiuto per i nipoti. È una funzione di supplenza che prosegue teoricamente all’infinito, essendo la vita sempre più lunga e le possibilità di sistemarsi dei giovani sempre più rare.
I matrimoni tra giovanissimi diventano sempre meno frequenti, segno dei nuovi costumi; in passato, invece, si celebravano matrimoni precoci che fungevano da riparazioni, ora evitati grazie alla contraccezione e all’aborto legalizzato. È un qualcosa di ormai lontano.
Anche a Valenza aumentano i divorzi: 9 nel 1980, 15 nel 1995 e 25 nel 2002. La vita assieme diventa sempre più difficile e complicata, diverse coppie granitiche rischiano di saltare in aria sulla mina matrimoniale. Ci si muove tra colpi bassi e parole violente, sono i momenti peggiori degli sgarbi reciproci e dei danni ai figli. I matrimoni civili sono un terzo del totale, ma non c’è un crollo dei matrimoni religiosi: alla fine del XX secolo, i giovani valenzani continuano a dirsi “si” davanti all’altare; sono ancora la maggioranza le coppie che vogliono il prete per la propria unione, lei in bianco e lui in scuro. C’è stata, però, una rilevante perdita di religiosità: Valenza è quasi diventata una città atea, dal laicismo imperante, sono sempre meno gli habitué di oratori e sacrestie. Si è affermato il desiderio di non impegnarsi troppo presto; le coppie mature, cioè quelle che hanno superato abbondantemente i trent’anni, diventano sempre più numerose. I giovani tendono a rimanere in famiglia il più a lungo possibile, un prolungamento dell’adolescenza che a Valenza oltrepassa i trent’anni. Non vogliono dire addio al celibato o al nubilato, al proprio appartamento da single, alla profumata torta della mamma. La nuova forma di relazione preferita dall’ultima generazione sembra consistere nello stare ognuno a casa propria, perché ci si ama di più e meglio.
La politica locale, che stenta ad avere idee comuni, è sempre più irrilevante e deludente, percepita sovente come antiquata e superata; vale sempre meno e decide sempre meno, spesso parla con un linguaggio da fotoromanzi di ciò che non conosce. All’inizio del 1999, i veri rifondatori del comunismo, quelli che considerano ancora il profitto alla stregua di una ruberia, assistono attoniti alle stravaganti aperture coltivate dai governanti locali DS, che hanno ormai cancellato la memoria comunista, verso i popolari, che chiedono al primo cittadino di disconoscere i programmi e le alleanze scaturite alle vittoriose elezioni comunali del 1996, finché, nel luglio del 1999, in Comune è costituita una nuova maggioranza frastagliata e ballerina sancita con l’uscita di Rifondazione Comunista e l’ingresso dei popolari e dei socialisti. I due gruppi entrati in maggioranza (PPI e SDI) non hanno resistito a compiere il solito ribaltone: si sono uniti con il PDCI, i Verdi e DS, ricreando all’interno della giunta quell’ammucchiata tanto ripudiata durante le ultime elezioni comunali. Intanto, nel dicembre del 1999, si tiene il primo congresso dei Democratici. La mozione di Veltroni ottiene il 90% dei voti degli iscritti locali.
Nell’aprile del 2000 si svolgono le elezioni comunali, una nuova sfida impegnativa. Forza Italia ha stravinto alle regionali, doppiando i DS, ma il voto per il Comune, ormai è cosa nota, fa storia a sé; infatti Tosetti, appoggiato dalla cooperativa elettorale composta dai DS, dai Verdi, dai comunisti italiani, dai democratici, da Per Valenza e dal Centro popolare riformista, con diversi rabdomanti e saltatori di fossi, si riconferma al ballottaggio con 5.739 voti (54,38%) e Tosetti ascende nuovamente all’olimpo. È un rubacuori anche nell’elettorato del centro destra, ma in questi anni dietro il moderno “Re Sole marxista” c’è sempre stato meno ceto dirigente: molti sono politici per caso e parecchi addestrati dai partiti non esistono più. È solo una strategia consociativa tollerante per protrarre in condominio e con destrezza il potere locale.
Con la nuova legge, già operante dal 1996, la giunta è scelta dal sindaco, anche fuori dal consiglio comunale, che da organo autonomo è divenuto quasi sussidiario. Tuttavia, nei partiti valenzani mancano sempre riflessioni scevre di preclusioni e di propaganda e cresce il distacco dalla politica con il rifugio nell’astensione sempre più subdola. Insomma, a inizio secolo la politica locale resta su un terreno ambiguo – diversi stanno con un piede dentro e un altro fuori – con l’assenza di una classe dirigente adeguata, sempre più politicamente apolide e pragmatica, che ha gli occhi solo puntati sulle urne, in una eterna campagna elettorale. Il tutto avviene in un equilibrio precario con contrapposizioni manichee che spesso falsano la realtà mantenendo tutto come prima nel più glaciale disinteresse generale: un social-populismo antipolitico affidatario del risentimento popolare.
Siamo entrati nella società individualista ed egoista del presente, senza limiti e dinieghi, dove si polverizzano le relazioni e si isolano le persone. Scomparsa la comunità e la fratellanza, si va verso una perdita di colloquio e di relazione con l’altro.