Il silenzio cela spesso una storia di resistenza contro l’abuso domestico. La peste sociale del Nuovo Millennio
"Lui è psicologicamente forte, la tiene legata con fili invisibili." Una storia che sembra provenire dal Medioevo
Vorrei condividere una storia che mi è tornata in mente in seguito agli eventi recenti in Veneto, una vicenda che, pur sembrando tratta dal passato, è un racconto dei giorni nostri. Gli avvenimenti hanno attirato l’attenzione di tutti, tenendoci incollati alle notizie, sperando in una soluzione diversa da quella che ci eravamo immaginati. Questa non è una storia che può essere giustificata con la facile e spesso razzista scusa delle differenze culturali. Coinvolge persone che potremmo incontrare al bar al mattino o considerare potenziali colleghi “gente normale” o, in modo più superficiale, “una storia di bravi ragazzi”.
Le donne in questo periodo hanno validi motivi di preoccupazione, e sembra assurdo che, nel ventunesimo secolo, mentre immaginavamo viaggi nello spazio e nuove colonie su Luna o Marte, ci troviamo ancora a discutere di abusi domestici. Parliamo ancora di uomini che sfruttano il loro ruolo di potere nei confronti delle donne, non solo attraverso l’aumento degli omicidi, ma anche tramite l’abuso emotivo e psicologico che mina il diritto delle donne di vivere liberamente. Molte di loro affrontano sfide esponenzialmente difficili per essere nel mondo, a causa di uomini che resistono al cambiamento, mantenendo un atteggiamento radicato nel passato.
Recentemente, ho assistito a un chiaro esempio di abuso domestico, un caso complesso che non può essere attribuito chiaramente alla persona coinvolta, ma che rappresenta comunque una forma di abuso, seppur diversa. La storia coinvolge una giovane donna bloccata in una nuova città, vittima di un datore di lavoro che inizialmente sembrava un alleato, ma che si è trasformato in un manipolatore. Il suo controllo si è manifestato attraverso una serie di tattiche psicologiche, portando la donna a perdere la sua autonomia e libertà.
Questi episodi sono purtroppo sempre più comuni, riflettendo una tendenza di uomini giovani che cercano di mantenere il controllo su donne determinate a essere parte attiva nella società. L’abuso si manifesta in molteplici modi, dall’isolamento sociale alla coercizione psicologica. È una situazione difficile, spesso veloce e radicale, che richiede tempo e pazienza prima che la vittima ne diventi consapevole e cerchi aiuto. È fondamentale affrontare queste situazioni con sensibilità, supporto e comprensione, non distaccandosi dalle persone coinvolte, ma cercando di star loro vicino anche quando sembrano chiudere la porta in faccia.
In questa storia, ho reagito per proteggere la vittima, mettendo a rischio la nostra amicizia. Tuttavia, comprendendo la necessità di superare la barriera creata intorno a lei, ho perseverato, consapevole che spesso chi ha bisogno di aiuto potrebbe respingerlo inizialmente. Una giovane donna, bloccata in una nuova città, vive da sola, dove uno dei suoi datori di lavoro, prima la affascina con ruoli e libertà sul posto di lavoro, poi la attrae facendole credere che ha i suoi stessi interessi. Cerca di farla innamorare, le fa immaginare una vita piena di entusiasmo e piacere e poi, una volta portata a casa e costretta a lasciare il suo appartamento, inizia un lavoro psicologico di possesso e controllo che la porta a perdere credibilità in sé stessa, poi la sua libertà.
Inizia a vedere meno i suoi amici, non li sente più nemmeno al telefono o nei social network, o almeno potrebbe gestire giusto lontano dai suoi occhi perché non sopporta le sue continue “domande di controllo”: “chi era al telefono?”, “di cosa stavate parlando?”. Non frequenta più i suoi colleghi per il pranzo o durante i tempi liberi, perché è sempre più ossessionato dall’interrogarla su cosa stessero parlando o perché stava sorridendo a un’altra persona. Tutto diventa molto meccanico e automatico. Tutto inizia a essere sotto serio controllo.
Situazione familiare per molti? Mi rivolgo sia alle donne che agli uomini. L’avete mai subito o fatto? Anche i suoi parenti non possono più sentirla, e le visite familiari si riducono quasi a nulla. Anche il Natale passa sotto il suo controllo, e le visite una volta piacevoli alla tua famiglia diventano un calvario dove non vedi l’ora che tutto finisca.
Poi la pressione psicologica quando finalmente cerca di ribellarsi, quando chiede più spazio e il suo atteggiamento a cambiare diventa la scusa per essere più duro e iniziare ad accusarla di essere pazza, malata, che avrebbe bisogno di un dottore, la porta da qualcuno che conosce e impone la sua presenza spiegando al medico cosa non va nella mente della sua donna. Guidare la macchina a velocità sostenuta per cercare di spaventarla, l’abuso è regolare e ogni singola cosa va avanti per un chiaro obiettivo: mantenere il controllo su di lei.
Ordini perentori di mangiare e comportarsi come lui desidera, la necessità palese di avere una donna sotto controllo. Le ombre delle sue carenze familiari, forse il ricordo dei suoi genitori che avevano il controllo su di lui, il chiaro desiderio di trasferire quella realtà con la sua attuale compagna, queste le possibili cause. Lui non ha praticamente nessun contatto con la sua famiglia, e così vuole lo stesso per lei, evidentemente.
Pensa di avere ragione su tutto. Pensa che questa sia la strada per mostrare amore. Ma in realtà, è solo il modo di essere un uomo che abusa di una donna e dove l’amore non esiste, ma è solo controllo. Puro controllo mentale. Per dimostrare a se stesso d’essere un uomo di sani principi, quando invece e’ solo un piccolo uomo.
Lasciarla sola a casa diventa una routine, continua la sua vita, senza di lei. Nessun appuntamento più in un ristorante, una rara visita al cinema o al museo, nessun viaggio. Nessuna domanda su cosa le piaccia o meno fare, o ascoltare o cosa stia leggendo. Questa è oramai un’espressione assoluta di controllo e abuso. Il momento in cui è felice di essere sola almeno può scrivere o parlare al telefono con gli amici in un’altra città, è il momento che la rende la perfetta schiava di lui.
Lui torna tardi la notte, vede altre donne. Tutto va bene secondo le sue direttive. Lei è infelice ma non capisce più che sta vivendo un abuso mentale. Un abuso grave, che si sviluppa dopo solo pochi mesi di convivenza, non anni. È più terribile di quanto lei veda. Perché è veloce, radicale. Forse ha sul serio bisogno di un Dottore.
Lei finalmente scappa di casa, lui la insegue, la riporta in casa trattenendosi le sue cose. Nella sua confusione e non sapendo dove andare nella nuova città, torna a casa dopo un piccolo chiarimento. Ma lui continua a offenderla, le consiglia nuovamente un medico per la sua testa che lui ritiene “malata”. Probabilmente lui sa di essere il “malato”, ma si autoprotegge e giustifica accusando “altri”.
In realtà, lei è davvero malata, perché dopo appena quattro mesi, non si rende conto dell’abuso enorme che sta subendo e che ha davvero bisogno di aiuto. Ma non con lui. Ha bisogno di amici di fiducia. Della sua famiglia. Ma lei ancora non si apre, perché c’è anche vergogna. Pensa di essere una persona intelligente, e lo è, ma ha perso fiducia in se stessa, sente di essersi fatta travolgere e ora si sente persa, umiliata. Stanca.
Lui è psicologicamente forte, la tiene legata con fili invisibili. Lavoro, dipendenza finanziaria, la sua presenza psicologica è forte. È un mostro. Un figlio dei nostri tempi, purtroppo. Oramai è persa. Non sa cosa fare. Non dorme la notte. Non riesce a lasciare la città, non riesce a chiamare gli amici, la famiglia. Ma ha paura, si rifiuta di confessarlo e si chiude in silenzio e le rare volte che si apre, reagisce così duramente se qualcuno cerca di aiutarla a fare una mossa radicale che lei vede pericolosa.
Cambia, diventa acida, completamente dura e inflessibile, ma con gli altri, con coloro che vogliono aiutarla. Con lui è in silenzio. Succube. Vittima. Non vuole vedere la realtà dei fatti. Ha ancora relazioni con lui. Lui decide quando è il tempo d’avere sesso. L’amore non esiste più.
Non c’è dubbio: è chiaramente sotto abuso emotivo e domestico, ma è difficile aiutarla perché non crede più in niente. Gli amici e la famiglia cominciano a capirlo, cercano di fargli confessare che ha bisogno di loro e di aiuto. Si è creata un mondo interiore, una sorta di autodifesa in cui si pone come campionessa di se stessa. Ma mostra in questo atteggiamento debolezza e chiaramente che l’abuso è stato violento e che continua in forme più sottili. Si è una storia non unica, di quelle che non solo leggete sui giornali. Forse anche voi l’avete vissuta come l’ho vissuta io.
Come lei, milioni di altre donne vivono la stessa situazione, e anche i governi dei paesi considerati civilizzati, hanno sempre in tavola leggi e programmi per combattere questa piaga di questo nuovo secolo. I rapporti dei paesi occidentali chiudono anno dopo anno la forbice con i Paesi considerati meno civilizzati sotto questo aspetto. Ma non è il Pakistan che si avvicina a noi, siamo noi, gli italiani, gli inglesi, i francesi, gli svedesi, che si avvicinano ai loro numeri.
La nuova generazione, spesso cresciuta con videogiochi violenti e musica aggressiva, ha prodotto una generazione di “nuovi uomini” frustrati e pericolosi che stanno cercando di minare conquiste specifiche che le donne avevano ottenuto 30-40 anni fa. Ora tutto è in pericolo per loro, giovani trentenni circondati da coetanei che si rivelano mostri figli dei loro videogiochi. Oppressi e oppressori, cresciuti in aree familiari distanti e probabilmente oppressive e violente di conseguenza.
La legge può fare molto, soprattutto educando. Ma per i casi esistenti, siamo noi che possiamo fare molto, non distaccandoci da queste persone, ma cercando di stare loro vicino, anche quando vogliono chiudere la porta in faccia, spesso offendendoci e attaccandoci.
Ho affrontato con determinazione la situazione che ho appena descritto, mettendo a rischio la nostra amicizia. Tuttavia, ho scelto di non arrendermi perché ho compreso che la mia amica non stava cercando di attaccarmi; piuttosto, stava costruendo una barriera intorno a sé stessa a causa della paura e della consapevolezza che qualcosa non andava.
In queste situazioni, se hai vissuto l’abuso psicologico in modo simile, è necessario concedere tempo e pazienza alle persone coinvolte. Solo quando tutto diventa evidente nella loro mente, forse in quel momento saranno pronte a intraprendere il percorso per uscire da questa dolorosa esperienza e riconquistare la propria libertà e indipendenza.
Una cosa è certa: non possiamo lasciarle sole.
La mia storia ha avuto una conclusione mista: un lieto fine per lei, ma amara nel complesso. Dopo cinque colossali litigi tra me, sua sorella e lei, alla fine ha deciso di lasciare tutto, portandosi dietro metà dei suoi averi, tra libri, dischi e abbigliamento, che ora si trovano anche a casa di lui dopo quasi tre anni.
Fortunatamente, ha trovato rifugio per alcuni mesi da una nuova amica, che coincidenza aveva vissuto una storia simile. Nonostante la perdita del lavoro, lei è rinata, con un sorriso che illuminava il suo volto e una rinata fiducia in sé stessa. Sembrava perfino più giovane.
Nel frattempo, al suo vecchio posto di lavoro, una nuova ragazza ha preso il suo posto. Non sorprende che si sia già fatta notare dal suo ex, che curiosamente condivide anche gli stessi gusti artistici della neoassunta. Anche lei, proveniente da un’altra città e inizialmente vivendo da sola, ha accettato di trasferirsi da lui. Tuttavia, come la prima protagonista, ora raramente la vediamo in giro per la città, né al cinema né al ristorante.
Il suo ex, al contrario, è facilmente rintracciabile la sera in compagnia degli amici. Speriamo che anche questa nuova ragazza trovi un amico deciso come il sottoscritto che possa aiutarla, quando sarà chiaramente necessario. Ma forse già lo è.