Sanità cittadina: Padre Ugo su Pronto Soccorso e ospedale di comunità
Le due grandi ferite mai rimarginate
"Si sprecano soldi e la gente è costretta a ricorrere ai privati"
OVADA – «Mi sono imposto un rigoroso silenzio per nove mesi in attesa della verifica dei fatti. Ma questi non sono arrivati». A prendere una nuova posizione decisa sullo scenario attorno alla sanità ovadese è padre Ugo Barani, riferimento per la comunità degli Scolopi e da oltre vent’anni attivo sul tema anche in veste di presidente dell’Osservatorio Attivo. Il dito è puntato ancora una volta su due grandi questioni: l’interpretazione che il 118 da del Pronto Soccorso dell’ospedale Civile di via Ruffini e l’ospedale di comunità, la struttura avviata nel 2019 come esperimento di assistenza integrata con il territorio bruscamente interrotto l’anno successivo a causa del Covid e mai più riavviato. «Qualcuno – prosegue Barani – ha pensato che mi fossi amaramente arreso. Non è così. Il Pronto Soccorso presta tutte le cure con competenza a quelli che possono andarci a piedi o farsi portare da parenti, ma se chiamate il 118, persone cordialissime e preparate, anche se si tratta di codici bianchi o verdi certificati dal medico, il paziente sarà trasferito fuori città: Novi, Alessandria, Genova, Torino e anche Novara».
Osservatorio Attivo: «L’ospedale di comunità deve riaprire»
Della questione si dibatte da anni. La chiusura del pronto soccorso disposta durante l’emergenza Covid, la successiva riapertura sotto l’impegno diretto del reparto di Medicina Interna. L’indirizzo politico, che prevede per la città un pronto soccorso di area disagiata, mai realmente attuato a livello sanitario. Ma Barani punti il dito su quanto sta avvenendo anche al secondo piano della struttura «L’Ospedale di Comunità non è partito come promesso: ci sono i letti nuovissimi, medici disponibili, reparto vuoto. Sappiamo che la sanità è in ginocchio ed i cittadini devono rivolgersi ai privati e pagare, ma la colpa di chi è? Certamente non loro».