Il declino economico del Piemonte e l’occasione del Pnrr
"Probabilmente ancora una volta si sarà persa l’occasione per determinare quella svolta produttiva e strutturale che risulta necessaria a invertire il calo sistemico che ormai da trent’anni attanaglia il nostro Paese"
ALESSANDRIA – Negli ultimi anni, l’evoluzione congiunturale del Piemonte è risultata molto simile, se non uguale, a quella media nazionale, e un risultato analogo, pur nelle incertezze attuali, è previsto per l’anno in corso.
In effetti, a parte la divaricazione del 2019, quando il PIL piemontese è sceso dello 0,5% mentre quello italiano è aumentato nella stessa misura, e la maggior caduta dell’attività produttiva regionale nell’annus horribilis 2020 (-9,7% vs -9%), il recupero del 2021 è stato praticamente analogo (7,1% vs 7%), per concludere il ciclo di ripresa con una variazione uguale (3,7%). Le previsioni attualmente disponibili per quest’anno ipotizzano una crescita media nazionale poco sopra l’1%, con un risultato per il Piemonte forse lievemente superiore, grazie alla maggiore specializzazione produttiva regionale nei servizi che stanno trainando la fase congiunturale in atto.
Un calo storico
La maggiore sintonia ciclica recente non ha consentito tuttavia di modificare il declino economico del Piemonte, che perdura da circa un quarto di secolo, come mostra il grafico a linee e istogrammi. A tutt’oggi, in effetti, il differenziale di crescita cumulato tra la nostra regione e la media italiana è pari a oltre 5 punti percentuali. Iniziato già nei primi anni Duemila, esso si è ampliato in occasione delle due crisi finanziarie del 2008-2009 e del 2011-12, con una lieve diminuzione solo verso la fine di quel decennio, ma si è poi riaperto con la crisi pandemica.
Nell’analisi della Banca d’Italia il declino regionale sperimentato è soprattutto attribuibile alla performance della città metropolitana di Torino, dove il ritardo rispetto a realtà simili, “ampliatosi dalla crisi del 2008-09, ha riguardato sia la manifattura sia i servizi privati: mentre nella prima, tuttavia, sono emersi segnali di maggiore dinamicità tra il 2014 e il 2019, ciò non è avvenuto nel terziario, dove la performance di crescita è rimasta inferiore nel confronto relativo”.
Il fattore maggiormente responsabile del divario riscontrato è costituito dal deludente andamento della produttività totale dei fattori “che segnala l’efficienza con cui vengono combinati gli input produttivi (e che dipende da numerosi fattori come, ad esempio, la governance d’impresa, la capacità innovativa, la qualità del capitale umano, il contesto istituzionale e la dotazione infrastrutturale); e ciò vale sia per il comparto manifatturiero sia per quello dei servizi”.
Cosa ci aspetta
Con riferimento alle prospettive per l’anno in corso, nonostante il sorprendente e inatteso risultato del primo trimestre, con un incremento del PIL italiano dello 0,6%, maggiore di quello dell’area dell’euro, che implica una crescita acquisita per l’intero 2023 dello 0,9%, il quadro congiunturale appare in rapido deterioramento, per cui nella restante parte dell’anno la variazione aggiuntiva del reddito potrebbe essere debolissima o addirittura nulla, con una crescita media annua del PIL prevista attorno all’1,2%. In Piemonte il risultato potrebbe essere leggermente migliore, a causa della nostra maggiore specializzazione produttiva in quei servizi, come le attività immobiliari e professionali, che sembrano ora trainare la fase congiunturale in atto, e al tempo stesso della minore specializzazione in quei comparti del terziario, come alloggio, ristorazione e servizi pubblici, che appaiono ora in frenata o sofferenza.
Le possibili cause
Diversi sono i fattori che spingono nella direzione di un rallentamento produttivo:
- i consumi delle famiglie soffrono dell’ancora elevata inflazione non adeguatamente compensata da un adeguamento delle retribuzioni (e delle pensioni) e da un recupero della propensione al risparmio, notevolmente ridottasi negli anni post-pandemia;
- sembra inoltre espandersi a forte intensità il turismo all’estero, mentre risulta in calo quello degli stranieri in entrata; gli investimenti delle imprese risentono dell’aumento dei tassi di interesse, delle restrizioni creditizie e dell’incertezza economica (solo le costruzioni continuano ad avere un trend positivo grazie alla reiterazione degli incentivi governativi, pur ridotti rispetto al passato);
- le esportazioni rallentano a causa della minore vivacità del commercio mondiale, legata al rallentamento produttivo in atto nei Paesi asiatici ed occidentali, ma soprattutto in Germania, nostro principale partner commerciale, ufficialmente in recessione tecnica;
- la spesa pubblica in termini reali, infine, è frenata dalla necessità di ridurre progressivamente l’ancora elevato deficit esistente in vista del ripristino dal 2024 dei vincoli quantitativi stabiliti dai Trattati fiscali europei, sospesi nel quadriennio 2020-2023.
Pnrr, zona grigia
In tale contesto, l’unico elemento che potrebbe dare slancio al processo di sviluppo italiano e regionale è costituito dalla realizzazione concreta dei progetti del PNRR, la quale, nelle valutazioni di consenso, dovrebbe determinare una crescita aggiuntiva del PIL dello 0,5% circa l’anno, per tutto il periodo 2023-2026.
Purtroppo le notizie su tale fronte non sono buone. Da un lato il Governo è impegnato in una ridefinizione dei progetti del Piano, che procede tuttavia estremamente a rilento, dovendo comunque terminare entro il 31 agosto, per essere poi discussa e concordata con la Commissione Europea; al momento, come è noto, per problemi di controllo europeo non è stata ancora consegnata all’Italia la terza tranche dei fondi che doveva essere pagata a fine febbraio/marzo; restano poi da completare entro giugno una quindicina di scadenze che mettono in forte dubbio il pagamento della quarta rata.
D’altro lato esistono i soliti problemi burocratici e di carenza di personale amministrativo e tecnico per l’attuazione dei progetti deliberati, che determinano tempi lunghi di realizzazione o addirittura cancellazione dei piani o loro spostamento su fondi nazionali, a maggior ragione nelle amministrazioni locali del Sud, dove dovrebbe essere speso il 40% delle risorse finanziarie a disposizione. Secondo i dati della Corte dei Conti da gennaio a maggio 2023 nella media italiana sono stati erogati fondi PNRR per appena 1,2 miliardi di euro, su un totale 33,8 programmati per l’intero anno, ovvero una percentuale del 3,6%; tale quota sale al 13,4% per l’intero periodo gennaio 2021-maggio 2023.
Un’occasione per il Piemonte
Le cose vanno solo lievemente meglio per la regione Piemonte: secondo i dati della Banca d’Italia a fine maggio risultavano assegnati alla nostra regioni fondi pari al 6,9% del totale nazionale; nello stesso periodo la percentuale di progetti per cui sono state avviate gare di appalto o stipule dirette di contratto ammonta al 30%, ma ovviamente i tempi di esecuzione dei lavori sono lunghi, per cui la percentuale di esborsi effettivi è più limitata. Per rispettare appieno il percorso temporale di realizzazione dei progetti del Piano, le amministrazioni locali piemontesi “dovrebbero incrementare i loro esborsi medi annui di una percentuale compresa tra il 70 e il 90 per cento, a seconda dell’anno considerato nel periodo 2023-2026”, una condizione ovviamente irrealizzabile.
L’impressione che se ne ricava, quindi, è che, come già per altri fondi europei non utilizzati pienamente, anche la realizzazione del PNRR sarà parziale; se a ciò si aggiunge la constatazione che anche gran parte delle riforme previste dal Piano o non sarà effettuata oppure lo sarà in maniera solo formale, probabilmente ancora una volta si sarà persa l’occasione per determinare quella svolta produttiva e strutturale che risulta necessaria a invertire il declino economico che ormai da trent’anni attanaglia il nostro Paese.