Vivere all’epoca dell’incertezza
Pandemie, isolamento sociale, guerre, crisi economica, crisi di governo… per citarne solo alcuni, sono fenomeni che oggi, più che mai, amplificano i sentimenti di incertezza, in giovani e meno giovani, causando un profondo disagio. Possiamo rendere l’elenco clamorosamente lungo, aggiungendo crisi ambientali e climatiche, crisi dei valori, fame, povertà. Apriamo i giornali e leggiamo di infanticidi da parte di madri dissennate, ascoltiamo le notizie della sera e sentiamo una stretta allo stomaco nell’attesa delle decisioni della politica che si divide sul nostro futuro e su quello dei nostri figli.
Tutto ciò è sostenibile? Potrebbe non esserlo a meno che non si eserciti il pensiero critico e consapevole che ci consente di osservare, analizzare, elaborare e riprogettare, a partire dal presente, mettendoci nel contempo in profondo ascolto delle nostre emozioni, senza averne timore. In psicologia si parla di incertezza psicologica:con essa si intende l’impossibilità di stabilire l’esito certo di eventi futuri. La natura imprecisa degli eventi genera dubbi e perplessità. Complica il processo decisionale che manca di prevedibilità e non fornisce elementi certi di conoscenza sulla base dei quali agire.
Pratica clinica ed evidenze scientifiche pubblicate nell’ultimo trentennio hanno documentato come la paura dell’ignoto, definita anche “intolleranza all’incertezza”, rappresenti un importante fattore di vulnerabilità coinvolto anche nello sviluppo di psicopatologie. L’intolleranza all’incertezza sembrerebbe direttamente collegata ai disturbi d’ansia e le persone che mostrano un elevato livello di IU possono attivare strategie di adattamento finalizzate al contenimento dell’ansia stessa.
Secondo alcuni studiosi, tra queste le più rilevanti, sarebbero:
- l’evitamento;
- l’iper-coinvolgimento;
- il disimpegno;
- l‘impulsività;
- l’esitazione;
- il “flip-flop” (oscillazione), rispetto alle fonti che generano ansia.
Ciascuna di queste strategie, di per sé, è utile ed adattiva, se utilizzata all’occorrenza ed in casi emergenziali; diventa disfunzionale nel momento in cui viene impiegata in modo rigido e stereotipato, nonché continuativo. Pertanto, è l’utilizzo costante e inflessibile di tali strategie a rappresentare un potenziale fattore di rischio per lo sviluppo di un possibile disagio psicologico. Circostanze nuove, mutevoli e stressanti come quelle che stiamo vivendo in questo particolare momento storico, possono spingere le persone ad agire secondo gli schemi sopra descritti, al fine di gestire la spiacevolezza dell’incertezza che tali fenomeni attivano ed il disagio che ne consegue.
Nel contesto dell’emergenza sanitaria COVID-19, ad esempio, abbiamo osservato due tipologie di risposte potenzialmente maladattive prevalenti:
- condotte ascrivibili all’iper-coinvolgimento, ovvero raccolgo quante più informazioni possibili, più volte a giorno, da più fonti, alla ricerca ossessiva di risposte per placare l’ansia;
- condotte riconducibili a disimpegno ed impulsività , all’opposto, non mi curo di ciò che mi accade intorno, adotto comportamenti rischiosi e sprezzanti nel tentativo di esorcizzare con condotte irrazionali le mie paure.
Tuttavia, tali strategie si rivelano inefficaci, ci imprigionano in circoli viziosi senza fine, che amplificano il nostro disagio.
La soluzione? Dobbiamo imparare a tollerare l’incertezza. A conviverci insomma, attribuendole un significato, una funzione. Imparare a tollerare l’incertezza implica l’assunzione di una posizione equilibrata e intermedia tra iper-coinvolgimento e disimpegno. Ma non solo. La difficoltà che riscontro oggi tuttavia è la possibilità di adottare tali strategie per un lungo periodo.
Se infatti gli eventi emergenziali sono per loro natura legati a lassi di tempo ridotti, non possiamo negare che questa sia la terza estate infuocata non solo sul piano climatico. Siamo sottoposti ad un stress continuo e prolungato definito da eventi che non sono sotto il nostro controllo e non sappiamo se mai lo saranno. L’incertezza personale è amplificata dall’incertezza istituzionale, il cui impatto può essere davvero paralizzante.
Quindi, per concludere, accanto all’equilibrio tra gli atteggiamenti dell’iper-coinvolgimento ed il disimpegno, sarebbe utile dedicarsi ad una progettazione di breve periodo che riguardi attività per la persona piacevoli e gratificanti sia a livello famigliare che lavorativo. Ci possono insegnare molto le nuove generazioni: una ricerca sugli under 30, in merito ai fattori che alimentano la felicità, ha messo in evidenza come oggi la spinta sia verso una vita più sostenibile.
È balzato agli occhi negli anni del Covid il fenomeno della Great Resignation – aumento delle dimissioni volontarie anche da posizioni interessanti. A differenza dei boomers, la generazione Z guarda alla qualità della vita, intesa come equilibrio tra soddisfazione professionale e personale o in altri termini equilibrio lavoro – casa.
Ora, non possiamo certo licenziarci tutti o cambiare vita dall’oggi al domani ma possiamo indirizzare le nostre risorse in modo positivo e consapevole per controbilanciare i contesti “tossici” di questo particolare momento storico, secondo i parametri di una “nuova saggezza”. Ritengo infine che le relazioni sane, motore del benessere psicologico, possano rappresentare l’ancoraggio positivo e risolutivo all’epoca dell’incertezza, che quasi indubbiamente, non avrà fine a breve.