Le prime colonie estive dei valenzani
Un nuovo approfondimento del professor Maggiora
VALENZA – Un tempo con il termine “vacanze” si intendeva l’intervallo scolastico estivo, dato che solo i benestanti potevano permettersi l’esodo in montagna o al mare. Per i bambini i cui genitori svolgevano un lavoro l’unica alternativa era di essere accolti per un certo periodo nelle colonie estive. La storia delle colonie estive è piuttosto antica: sono quasi tutte simili in questo paese, diverse aperte fin al tempo del regime e nate in un periodo in cui le vacanze estive erano ancora precluse alla maggior parte degli italiani.
Sono tanti i bambini nati a Valenza negli anni Quaranta e Cinquanta che furono mandati alle colonie, finanziate da enti vari, in montagna o al mare, dove vigeva la cultura dell’ordine. Nel secondo dopoguerra si è presto riconosciuto il carattere formativo e educativo delle colonie, che sono state aperte a tutti, poi questa parola è caduta in disuso e oggi è diventato più comune sentir parlare di “centri estivi”.
C’è una differenza importante tra i due: le colonie per i giovanissimi valenzani si tenevano generalmente in montagna, mentre i centri estivi di oggi ne sono la versione urbana e offrono una serie di attività da svolgere in vari siti locali in orario quasi scolastico. Insomma, addio alle nuove esperienze, addio alla vacanza di diversi giorni senza mamma e papà, addio ai pianti per la separazione da casa, ai pullman dove si cantava per stare allegri. Il vantaggio è anche economico, più per il Comune che per le famiglie.
Cogliendo lo scarto tra il passato e il presente individualista, scrutiamo le prime colonie valenzane del dopoguerra, un periodo di mezzo fra il vecchio e il nuovo mondo.
Nel 1947 il giovane viceparroco del duomo di Valenza don Pietro Battegazzore, infrangendo con coraggio alcuni luoghi comuni, apre la casa vacanze “La baracca”, destinata ai giovani valenzani a Perreres di Cervinia. Il religioso aveva notato dei casotti trascurati e aveva persuaso la proprietaria Sip a dare quelle costruzioni non più utilizzate alla parrocchia valenzana. Quelle baracche di legno sono state la prima casa vacanze e la prima colonia dei giovani valenzani dell’oratorio.
Nei primi tempi certe comodità oggi essenziali erano inesistenti: per lavarsi bisognava raggiungere un torrente vicino e si cucinava all’aperto. Il luogo fu chiamato “Campeggio Don Pietro” dopo la morte dell’amato e giovane sacerdote, colpito da un fulmine il 7 agosto del 1950 mentre rientrava con alcuni ragazzi della parrocchia da una gita sul monte Cervino, una tragedia che sconvolse Valenza.
Il contributo chiesto alle famiglie era molto ridotto, cosa che rendeva la colonia una forma di assistenza sociale e sanitaria. Da una parte una rappresentava una vacanza per i figli di chi non poteva o non voleva permettersi qualcosa di diverso, dall’altra era un luogo di vacanza per adulti che alimentavano il sentimento di unione e di appartenenza. È un’esperienza di soggiorno estivo diversa dalle altre, ma consone alla vita dei giovani, delle famiglie e della comunità parrocchiale valenzana. Col tempo, con serietà e passione, la struttura verrà ampliata, riedificata e dotata di comfort e, grazie alla generosità dei valenzani, giungerà attiva sino a noi.
Dopo pochi anni, durante l’amministrazione comunale del periodo 1951-1956, il benvoluto sindaco comunista Giovanni Dogliotti istituisce la colonia comunale montana estiva di Premeno — un piccolo paese dell’Alto Verbano a 800 metri sopra il livello del mare — che rimarrà in vita per più di un ventennio e poi sarà abbandonata. È un grande edificio adattato e ubicato in una zona tranquilla e idonea alla vita in comunità dei bambini. La colonia è riservata a bambini dai 6 ai 12 anni “figli degli operai, dei contadini, degli impiegati e degli artigiani di Valenza”.
Diversi lavoratori valenzani non possono portare i propri figli in vacanza, così li mandano in colonia. La retta versata è minima e in molti casi nulla perché il Comune si accolla le spese per un costo annuale totale di alcuni milioni di lire. Ben presto, nel 1958 la costruzione viene ampliata con nuovi dormitori e un grande salone refettorio.
Oltre agli spazi al coperto — dormitori, refettorio, sale per i giochi — la colonia era dotata di un ampio parco e di un campo di calcio. Funzionava nei mesi di luglio e di agosto con due turni di tre settimane, ognuno regolato da un sistema abbastanza rigoroso. Nei primi quattro anni, 1956-1960, la colonia ha ospitato 782 bambini. Nel 1964 hanno partecipato ben 240 bambini, il 16% della popolazione valenzana tra i 6 a i 12 anni.
La colonia è sostenuta con premura dall’assessore valenzano Irma Giordano Lombardi e raggiunge soddisfacenti obiettivi. Negli anni Sessanta il Comune istituirà anche una colonia marina e una locale di breve durata.
A Premeno si svolgevano attività ludiche, sportive e di animazione, gite sul lago, escursioni con pranzo al sacco, partite e tornei. Il cibo era buono e abbondante. Il mattino dopo colazione si giocava in gruppi sul piazzale antistante, mentre il pomeriggio, dopo il rituale riposino e la tradizionale merenda a base di pane e marmellata, si faceva la passeggiata in pineta cantando le solite canzoncine imparate a scuola.
La sera, quando ci si ritirava nelle camerate e ci s’infilava nei lettini, era il momento più malinconico: nessun bacio della mamma e nessun buffetto del papà. I bimbi soli erano immersi nel silenzio totale, con un fioco lumicino che traspariva dietro la tenda che li separava dalla vigilatrice. E, silenziosamente, i lacrimoni scendevano a bagnare le guance.
I bambini non sentivano i genitori per un certo periodo, salvo in caso di necessità, superando — chi più facilmente chi con più fatica — quest’allontanamento, un’esperienza che li rafforzava; mentre oggi, causa dei telefonini, si è sempre attaccati al cordone ombelicale dei genitori, cosa che, probabilmente, crea stati di ansia che non favoriscono quel sano rafforzamento d’animo. Le visite, perciò, erano ammesse poche volte, poiché alla partenza dei familiari dopo la breve visita la malinconia assaliva ancora più forte per entrambi, ma nell’occasione, solitamente domenicale, molti di quei bimbi valenzani hanno trascorso la più bella giornata della loro vita e forse, dopo mezzo secolo e più, ancora ne conservano la memoria.