Natale del passato, abitudini, racconti e borse starnazzanti
OVADA – «Sotto Natale comparivano sul banco quelle tutte imbrillantate con l’albero e col presepe; comparivano i bei fogli dai bordi traforati, ricamati, delicati a volte come un pizzo, per la letterina da scrivere al Bambin Gesù». Sono frammenti di una società ovadese diversa da quella attuale quelli che possono essere raccolti dalle storie natalizie del passato.
Molte delle immagini d’epoca utilizzate per illustrare i libri di storia dell’Ovadese, sono state realizzate da Paolo Maineri fratello di Ernesto il quale, verso la fine del secolo scorso, subentrò a Giuseppe Bianchi nella gestione del negozio di cartoleria ancora oggi in attività all’inizio di via San Paolo della Croce, a quel tempo ancora Via San Domenico.
Noci e cioccolatini
La descrizione iniziale non poteva che uscire dalle penna di Camilla Salvago Raggi che in “Cose ovadesi” ha raccontato lo scenario festivo della nostra città. «Le donne scese dai monti per le compere natalizie – prosegue la scrittrice – lasciavano le borse nell’angolo, certi borsoni rigonfi, sussultanti per l’improvviso starnazzare della gallina o del cappone legato per le zampe; e aiutate da Amalia misuravano le strisce della carta fiorata per la mensola del camino. Le case della povera gente in quegli anni non conoscevano altro addobbo natalizio: un festone di carta nuova, e il ginepro nell’angolo, decorato alla vigilia con qualche noce fasciata di stagnola, qualche caramella e qualche cioccolatino». Niente a che fare con l’opulenza dei nostri giorni.
Conflitti e detti popolari
Le feste hanno dovuto fare i conti anche con la guerra e le conseguenze sul nostro territorio. «Il mattino di Natale del 1940 -si legge in una pubblicazione dell’Accademia Urbense – le autorità locali si recano a far visita ai soldati degenti presso l’Ospedale Sant’Antonio e per ognuno pronunciano affettuose parole di simpatia e di augurio». C’è poi un detto popolare che sembra adatto anche oggi. «Natale ar harcùn, Pàsqua au tizzùn». In italiano: quando a Natale fa troppo caldo (è il caso del 25 dicembre 2019) e c’è la possibilità di sostare sul balcone, l’inverno si protrae anche nei mesi primaverili tanto da costringerti ad accendere il fuoco anche durante la solennità di Pasqua.
Anni che vivi, saggezza che trovi. Forse i nostri antenati non prendevano in considerazione la possibilità dei cambiamenti climatici che stiamo vivendo in questi anni. ( 1- continua)