Sant’Andrea: profumi e atmosfere di un’Ovada agricola all’inizio del XX secolo
Salta il tradizionale appuntamento con la fiera che in passato ha rappresentato il punto d’incontro per le genti in arrivo dalle valli di Orba e Stura
OVADA – Un grosso mercato fieristico alle soglie dell’inverno a Ovada si svolgeva già in tempi lontani. Per le popolazioni delle Valli Orba e Stura la possibilità di dotarsi di ciò che serviva per affrontare i rigori dell’inverno alle porte. Secondo gli scarsi documenti, la fiera di Sant’Andrea risale agli anni tra il fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Era l’antenata dell’appuntamento che anche oggi si tiene tutti gli anni e che solo le norme di contenimento del contagio hanno fermato per l’edizione del 2020.
«Si fa nel Comune di Ovada una fiera di bestiame e di qualsiasi genere di mercanzie sulla fine del mese di agosto e sulla fine del mese di novembre d’ogni anno». Il maire, il sindaco di allora secondo la denominazione francese in voga, così relazionava in un documento del 1807.
Non poteva che riferirsi alle fiere di San Giacinto e Sant’Andrea. Non si faceva cenno alla fiera di Santa Croce che pure era del XIII secolo. Circa mezzo secolo dopo, esattamente nel 1945, così si leggeva in un volume. «In Ovada si tengono tre annue fiere, la prima in agosto, e dicesi di San Giacinto patrono del luogo; la seconda, denominata di San Simone, in ottobre; l’Ultima in novembre e si chiama di Sant’Andrea».
Si arrivava con carri e bestie da soma e in molti casi a piedi. Le strade di Ovada brulicavano di paesani e montanari. Il famoso proverbio ovadese «A Sant’Andrea l’invernu u monta an careia» si riferisce alla stagione fredda e al suo prendere il sopravvento proprio in questi giorni.
Si acquistava sale, olio, tabacchi e i pochi generi di prima necessità non prodotti in zona. Con la neve alle porte nessuno poteva correre il rischio di rimanere isolato senza scorte. Le cronache giornalistiche del primo novecento raccontano di ambulanti di ogni genere. C’erano anche i borseggiatori nel mirino delle forte dell’ordine. Il cibo della fiera era la farinata, cotta nei caratteristici «testi rotondi»: si tornava a casa con il pacchetto ancora caldo. La ricetta veniva tramandata gelosamente tra le generazioni di produttori.
Un tempo, in fiera, giungevano i librai ambulanti di Pontremoli, i venditori di almanacchi e di biglietti della fortuna con l’oroscopo ed i numeri del lotto. Non mancavano i ciarlatani pronti a curare qualsiasi malattia per pochi soldi e magari a suon di musica dato che si portavano appresso l’orchestra.
La meta obbligatoria per un sicuro divertimento era piazza XX Settembre, «Ia fera» dove si accampavano i giostranti, le più famose famiglie circensi, dove stazionavano i serragli delle belve feroci e si esibivano domatori, saltimbanchi, clowns e giocolieri. Nei primi anni del Novecento in piazza XX Settembre arrivarono anche i fratelli Mannucci, cinematografi ambulanti, che allestirono un padiglione meccanizzato e coloratissimo. Ai lati della biglietteria due orsi i cartapesta, azionati meccanicamente, battevano piatti di latta allo scopo precipuo di incuriosire e di attirare la folla. «Favorita da un magnifico sole e da un tempo splendido – si legge nelle cronache del 1901 – la prima giornata di fiera riuscì oltremodo brillante ed animata per il numeroso concorso di gente dai paesi circonvicini. Si conclusero molti contratti e gli esercenti fecero affaroni».