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    “Padrenostro”:
    Generic, Home, Spettacoli
    Barbara Rossi  
    27 Settembre 2020
    ore
    09:52 Logo Newsguard
    Recensione

    “Padrenostro”: gli anni di piombo e il labirinto dei sentimenti

    Recitazione autorevole e rigorosa di Pierfrancesco Favino, giustamente premiato con la Coppa Volpi a Venezia

    CINEMA – «Il mio film non è una ricostruzione storica degli anni di piombo, anche se ci sono elementi di quell’epoca, ma il racconto della generazione di chi era bambino allora. Con questo film la mia storia privata diventa universale». Claudio Noce propone il suo terzo lungometraggio (dopo Good Morning Aman nel 2009 e La foresta di ghiaccio nel 2014) in concorso alla 77esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, riversando in maniera liberatoria e – per così dire – catartica il proprio drammatico vissuto personale. La mattina del 14 dicembre 1976 a Roma, il regista – all’epoca bambino – assistette all’attentato dei Nap (Nuclei Armati Proletari) in cui venne gravemente ferito suo padre Alfonso, vicequestore di polizia e responsabile dei servizi di sicurezza per il Lazio; mentre persero la vita l’agente di polizia Prisco Palumbo e uno degli attentatori, il terrorista Martino Zicchitella.

    Il vicequestore riuscì a salvarsi e a fare ritorno a casa, dopo una lunga degenza in ospedale, ma l’esperienza mutò radicalmente lo sguardo sul mondo del piccolo Claudio, nonché il rapporto con suo padre, nel film interpretato con evidenza espressiva e una fisicità ingombrante (con palesi risvolti simbolici) da un Pierfrancesco Favino dalla recitazione autorevole, rigorosa, giustamente premiato con la Coppa Volpi.

    Non è semplice raccontare una storia così intima e dolorosa attraverso gli occhi di un bambino di pochi anni (dieci in Padrenostro): Valerio (Mattia Garaci) – l’alter-ego di Noce – è biondo e solare, luminoso e malinconico, disperato e felice, mentre percorre quel lunghissimo cammino che lo condurrà a una sorta di elaborazione del lutto pur in presenza del padre, che diviene per lui un colosso, il simbolo di un’infanzia e di un’affettività ritrovate. La madre Gina (Barbara Ronchi) rimane – suo malgrado – una figura di sfondo, perché il grumo di rabbia, di ribellione e sofferenza che Valerio è chiamato a sciogliere non può che coagularsi su Alfonso: sulla sua improvvisa assenza come sull’inatteso ritorno.

    La ricostruzione d’ambiente è ottima: il clima, l’atmosfera, le tensioni e le fibrillazioni politico-sociali di quella metà degli anni Settanta sintetizzati in un articolo di cronaca, in un’edizione del telegiornale, in una telefonata anonima. Eppure – come ammette lo stesso Noce – non sono gli anni di piombo ad essere ricostruiti e dissezionati nelle due ore di Padrenostro, ma un rapporto padre-figlio declinato tra le due località – concretissime e insieme metaforiche – di Roma e Riace, il tempo del quotidiano e quello stra-ordinario della villeggiatura estiva.

    Un rapporto che, ad un certo punto, imbocca la strada del racconto di formazione e vira sorprendentemente verso l’astratto, coinvolgendo nella narrazione un altro ragazzino, misterioso e ambivalente (un po’ come la figura paterna, che lo sconvolgente episodio dell’attentato conduce Valerio a ritessere e riconsiderare nel suo immaginario), Christian (Francesco Gheghi): un personaggio talmente etereo ed evanescente da far approdare lo spettatore, in alcuni passaggi, all’ipotesi di avere a che fare con un parto della fantasia dello stesso Valerio. Forse un amico immaginario, originato dal bisogno di confidare a un altro se stesso timori e ansie di abbandono.

    Una scorciatoia, escogitata dalla psiche di un bambino, per far fronte a un evento molto più grande di lui e innescare il processo di guarigione.

    La pellicola di Noce è molto caratterizzata anche sul piano estetico, destreggiandosi tra piani ravvicinati, ralenti, riprese dall’alto immerse nella luce e nei colori saturi tipici degli anni Settanta, musiche di accompagnamento alle immagini non sempre pertinenti: un coacervo di sensazioni, emozioni, stati d’animo che il regista tenta di amalgamare (in maniera altalenante) con il linguaggio vario e discontinuo del cinema.

    Come ha ribadito il protagonista Favino: «Il cinema può dare il coraggio di dire delle cose che uno fa fatica a dire nella realtà. Credo che questo film ne sia una prova. Ci sono degli strumenti che ci aiutano a esprimere cose che magari non riusciamo a dire. Io poi, da amante del cinema, penso che il cinema salvi il mondo. Mi rendo conto che mi abbiano inoculato il virus da piccolo: sicuramente è la strada che ho scelto per dire, da attore, come la penso nella vita. Mi emoziona, mi coinvolge. Raccontare le storie è una cosa che salva. Così come avere la possibilità che qualcuno te le racconti».

    Padrenostro
    Regia: Claudio Noce
    Origine: Italia, 2020, 122’
    Sceneggiatura: Claudio Noce, Enrico Audenino
    Fotografia: Michele D’Attanasio
    Montaggio: Giogiò Franchini
    Musica: Ratchev & Carratello

    Cast: Pierfrancesco Favino, Anna Maria De Luca, Mattia Garaci, Francesco Gheghi, Mario Pupella, Barbara Ronchi

    Produzione: Lungta Film, PKO Cinema & Co., Tendercapital Productions, Vision Distribution
    Distribuzione: Vision Distribution

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