“Più dati per portare il Dolcetto dove merita”
Il professor Vincenzo Gerbi parla della ricerca avviata dall'Università per il progetto coordinato da Enoteca e Consorzio dell'Ovada
OVADA – «Oggi il vino è un prodotto di design». Non usa giri di parole Vincenzo Gerbi, professore ordinario all’Università di Torino, grande conoscitore di viticoltura e enologia. «Produrre – aggiunge – significa mettere a disposizione un vino con il massimo della funzionalità. Questo concetto deve valere anche per il Dolcetto».
Cosa significa?
Parliamoci chiaro: questo vitigno sta attraversando un momento di difficoltà identitaria. Per ragioni imperscrutabili, ma è così. Il trend di crescita rispetto ai miei primi anni da docente si è interrotto.
Si tratta di un vino più difficile di altri?
In passato il Dolcetto è stato sinonimo di vino di pronta beva, facile da abbinare con tutta la cucina piemontese. Oggi ne conosciamo pregi e difetti: poca acidità, un colore vivace e stabile, la possibilità di essere apprezzato anche a gradazioni più basse rispetto ad altri vini. Il Barbera, ad esempio. Eppure siamo di fronte a un’asprezza tannica che va gestita.
In che modo?
Conoscendo la materia di base, l’uva. Bisogna sapere con precisione come si fanno le cose. E da qui l’importanza del progetto. Sicuramente il vino buono si fa soprattutto in vigna. La tecnica in cantina è sempre meno invasiva. La materia prima dev’essere la più viva e più comunicativa possibile.
Quale strada immagina per la viticoltura ovadese al termine di questa ricerca?
Un anno fa, durante i primi contatti con i produttori, dopo alcuni assaggi, avevo sottolineato come i vini abbiano tutti un fondo di grosso interesse. Bisognerebbe però rendersi conto che la particolare conformazione del territorio dovrebbe consigliare ad ogni produttore una strada diversa e adeguata. Per farlo bisogna aumentare il bagaglio di conoscenze.
Dati quindi.
Si. A quel punto progettare una tecnica di vinificazione è più facile. L’enologia moderna è sempre più ridotta.
Come si può tornare a vendere Dolcetto come nei decenni precedenti?
Oggi non funziona più un approccio per il quale decidi di spingere un vino. “Bevi questo perché è buono”. Devi proporre un’identità. Questo è l’obiettivo con il quale abbiamo avviato la nostra collaborazione con il Consorzio dell’Ovada docg. Non serve dare indicazioni tecniche sul lavoro da fare in cantina. Non fa parte della nostra natura portare ricette. Vogliamo dare degli strumenti di maggiore comprensione.
Prime impressioni?
Come dicevo, situazioni di partenza diversificate. Per cui, ad esempio, sull’inizio della vendemmia il classico bollettino potrebbe non avere più l’attuale valore. Questo non è necessariamente un male. Anzi, se parliamo di identità, diversificarsi da Langhe e un certo Monferrato può essere un vantaggio. E raccontare come sia difficile fare viticoltura da queste parti. Questa ricerca è un tassello di un mosaico che dovrà essere composto per un certo tempo.