Di anziani, di giovani e di responsabilità
Alla fine di tutto questo, quando i contagi saranno sotto controllo, quando si potrà tornare a guardare gli altri senza timore, quando il contatto tra due esseri umani tornerà a scatenare brividi di piacere, troveremo due generazioni completamente diverse da come le avevamo lasciate prima delle restrizioni sociali: i più anziani e i più giovani.
I più anziani rivendicheranno l’umanità e la dignità che in questi mesi di pandemia sono state negate ai loro coscritti meno fortunati. Oggi, nelle case di riposo le persone più fragili – ma non solo quelle – muoiono a decine come raccontano le drammatiche vicende di Murisengo, Casale, Sezzadio, Casal Cermelli, Tortona, Ovada… Passaggi che avvengono in silenzio e resi ancor più dolorosi dall’assenza forzata dei loro cari. E tutto ciò accade in assenza del Sistema Sanitario e davanti agli occhi attoniti degli altri ospiti, addolorati per ciò a cui stanno assistendo e spaventati dall’idea di dover subire la stessa sorte. Nelle nostre case, invece, ad osservare quelle luci che si spengono soffocate dal Covid-19, sono parenti e amici che riconoscono le anomalie dei sintomi ma che non possono certificare nulla perché la Sanità risponde sì al telefono, ma troppo spesso fa solo più quello.
I più giovani, invece, hanno davanti uno scenario complesso. Scoprono che i nonni non ci sono più, svaniti nel tempo senza un ultimo saluto, un tributo, un gesto di umana compassione. E vivono una quotidianità durante la quale gli viene raccontato che «andrà tutto bene» e che è importante continuare a studiare e a formarsi per avere una professionalità da spendere in futuro. In questa litania, però, riconoscono le perversioni di un meccanismo che non difende e non tutela chi, prima di loro, aveva intrapreso la stessa strada, come i medici e gli infermieri. Il dramma del dottor Nabil Chrabie è solo l’ultimo e il più vicino a noi. Dunque, legittimamente, potrebbero chiedersi: perché investire una vita intera nel rispetto delle regole e nella crescita personale quando poi, nel momento dell’estrema necessità, si viene abbandonati al proprio destino?
Sarà difficile, forse impossibile, ricostruire la catena delle responsabilità individuali. Ma la responsabilità collettiva del Sistema Sanitario, dall’Unità di Crisi in giù, passando per tutte le stanze di capi e capetti, è enorme. La totale mancanza di empatia ha scollegato la testa del Sistema Sanitario dal suo corpo impedendole di comprendere che già da metà febbraio, nell’Alessandrino, infermieri e clinici avevano individuato la massiccia presenza di Covid-19 tra i loro pazienti e spingendola a negare l’uso dei dispositivi di sicurezza per non sprecare e per non generare panico. «Siamo stati noi ad amplificare l’epidemia», ci ha raccontato affranto un rianimatore.