Pasqua: il rito del canto alle uova
Home
Redazione - redazione@alessandrianews.it  
21 Aprile 2019
ore
00:00 Logo Newsguard

Pasqua: il rito del canto alle uova

Un tuffo nel passato con Lucia Barba, che al cibo monferrino e alle tradizioni locali ha dedicato diversi studi, sulle abitudini degli ovadesi per la simbologia legata al periodo pasquale e per conoscere usanze ormai perdute legate ad esso.

Un tuffo nel passato con Lucia Barba, che al cibo monferrino e alle tradizioni locali ha dedicato diversi studi, sulle abitudini degli ovadesi per la simbologia legata al periodo pasquale e per conoscere usanze ormai perdute legate ad esso.

OVADA – E’ tempo di festeggiare la Pasqua. Ma da dove arrivano i simboli e le usanze che anche tutti gli ovadesi oggi conoscono? Ce lo può spiegare Lucia Barba che al cibo monferrino e alle tradizioni locali ha dedicato diversi studi utilizzati poi per le sue pubblicazioni, Con lei facciamo un tuffo nel passato, per scoprire la simbologia legata al periodo pasquale e per conoscere usanze ormai perdute legate ad esso. “Il simbolo per eccellenza della Pasqua è l’uovo – spiega Barba – non a caso anche nell’odierno pranzo della domenica non possono mancare. L’uovo da sempre ha una connotazione molto forte. In epoca pre-cristiana era considerato nella cosmogonia il principio primo, ovvero l’origine della vita”. Viaggiando a ritroso nella cristianità e nella Pasqua monferrina di una volta, le donne usavano mettere nel cotone dei semi di grano che venivano conservati negli armadi e poi fatti germogliare: l’usanza aveva lo scopo di evidenziare la creazione. Fra le abitudini ormai perse o riscoperte, che si verificano in Quaresima (quaranta giorni prima della resurrezione) erano, oltre un a periodo di austerità con pasti morigerati e l’astensione dalla carne il venerdì, c’era anche quella di “legare le campane” e “il canto alle uova”.

“Quando le campane venivano legate – prosegue Lucia Barba – i ragazzini venivano incaricati di andare nelle campagne a segnare il mezzogiorno (all’epoca gli orologi non esistevano e le campane del campanile erano le uniche a scandire il tempo); si utilizzava la ben nota raganella o “ sghinsèra”, uno strumento di legno che si faceva girare su una manovella producendo rumore. Altra usanza, come già accennato era, “cantare alle uova”. I giovani di sesso maschile andavano nella cascine fuori mano e cantavano accompagnati da flauti e fisarmoniche stornelli dialettali in cui si chiedevano uova e vino, ma anche in modo ironico se erano presenti in casa fanciulle ancora da maritare. Alla fine di questa “serenata contadina” gli abitanti della cascina regalavano i prodotti del loro lavoro per ringraziare i giovani. Un ruolo fondamentale in tutto questo rituale, non solo dal punto di vista religioso, ha sempre assunto la domenica delle palme. La tradizione ci parla però di alcune varianti rispetto ad oggi. “Durante questa giornata è sempre stata usanza, oltre alla benedizione dell’ulivo, presentare i nascituri e i bambini a cui veniva data una palma e intorno al polso un piccolo dolce a forma di ciambella: il canestrello pasquale doveva impedire che i bambini non si lagnassero”. 

Articoli correlati
Leggi l'ultima edizione