Non bisogna avere paura dell’autismo
Domenica è la giornata mondiale, promossa dall'Organizzazione delle nazioni unite. Parla Maurizio Cremonte, responsabile della Neuropsichiatria infantile dell'azienda ospedaliera 'Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo' di Alessandria
Domenica è la giornata mondiale, promossa dall'Organizzazione delle nazioni unite. Parla Maurizio Cremonte, responsabile della Neuropsichiatria infantile dell'azienda ospedaliera 'Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo' di Alessandria
Quella dell’autismo è un disturbo che continua a fare paura. Che molti genitori rifiutano e fanno fatica ad affrontare e a gestire. Eppure si può e si deve fare. Perché lo spiega Maurizio Cremonte, responsabile della Neuropsichiatria infantile dell’azienda ospedaliera ‘Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo’ di Alessandria, che per prima cosa dice chiaramente che “la diagnosi precoce consente di creare progressivamente le condizioni perché la vita da adulti sia molto buona. Non si guarisce dall’autismo, ma oggi fra la diagnosi precoce e un sistema di terapie comportamentali adeguate una persona può arrivare a condurre una vita autonoma e soddisfacente, dove comunque continuano a persistere difficoltà, rimanere problemi e disturbi, però nel complesso la qualità della vita c’è”.
Grazie a una crescente sensibilizzazione delle famiglie e dei pediatri è possibile diagnosticare l’autismo già a 18 – 20 mesi. Ed è per questo motivo che si registra in aumento dei casi che, come rileva l’osservatorio di Alessandria, toccano una media di circa cento all’anno su un bacino che complessivamente è di quasi tutta la regione. L’autismo è un disturbo neurobiologico per il quale i trattamenti comportamentali aiutano molto (compresi quelli che coinvolgono i familiari), mentre quelli farmacologici migliorano le condizioni di vita, ma sono di fatto collaterali e strettamente connessi a situazioni specifiche. “Non c’è un caso simile all’altro. Il dato comune – spiega Cremonte – è l’anomalia genetica che coinvolge lo sviluppo del cervello e della mente e a cui concorrono sia fattori genetici che ambientali. Non a caso si dice che l’autismo è una sindrome complessa. Perché complesse sono le cause e complessi i loro effetti”.
Come riconoscerlo? “Il soggetto autistico, che è molto fragile lo ricordo, comincia a manifestare i primi sintomi intorno ai 15-18 mesi e si parla di modalità comportamentali anomale quando, per esempio, indica con le mani qualcosa, oppure l’uso della parola, l’interazione con le persone, quando comincia a manifestare quella rigidità comportamentale che contraddistinguono il suo rapporto con il mondo esterno. Ogni soggetto ha una fisionomia di disturbo che cambia il funzionamento cognitivo”. Ai primi segnali, o ai primi semplici sospetti è fondamentale recarsi dal pediatra e successivamente, se è il caso, sottoporre il bambino alla visita degli specialisti. “Noi prendiamo in carico i soggetti al momento della segnalazione, procediamo agli accertamenti necessari, arriviamo alla diagnosi e affidiamo a nostra volta i casi ai presidi sul territorio per l’opportuno trattamento terapeutico, salvo poi eventualmente rivederli a scadenze periodiche per una rivalutazione del quadro e dei risultati raggiunti. Comprendo le reazioni di un genitore, ma non bisogna dimenticare che quello che si riesce a fare nell’immediato è decisivo per il futuro, così come lo è la gestione all’interno della dimensione scolastica, dove non basta l’insegnante di sostegno bensì è fondamentale il coinvolgimento di tutti i compagni di scuola, o del tempo libero: non funziona inserire di colpo, o a forza, un ragazzino in palestra o gettarlo nella mischia di un campo di calcio”.