I sapori del territorio per il pranzo di Natale
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Redazione Ovadese  
25 Dicembre 2016
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I sapori del territorio per il pranzo di Natale

Dopo la Messa di mezzanotte la tradizione voleva che tornando a casa infreddoliti ci si riscaldasse con un piatto fumante di trippe in umido. Le trippe, molto ben lavate e bollite, venivano rosolate in olio, lardo, cipolla, carota, rosmarini, prezzemolo, salvia, timo, innaffiate con vino bianco, tirate a cottura con brodo, con l’aggiunta di un po’ di conserva di pomodoro.

Dopo la Messa di mezzanotte la tradizione voleva che tornando a casa infreddoliti ci si riscaldasse con un piatto fumante di trippe in umido. Le trippe, molto ben lavate e bollite, venivano rosolate in olio, lardo, cipolla, carota, rosmarini, prezzemolo, salvia, timo, innaffiate con vino bianco, tirate a cottura con brodo, con l’aggiunta di un po’ di conserva di pomodoro.

OVADA – Un profumo che si diffondeva tra le scale e richiamava i bambini che giocavano, passando di casa in casa in un’epoca in cui ancora si viveva con le porte aperte. Un patrimonio di cultura popolare, usanze prese sia dalla tradizione piemontese che da quella di Genova. Un mix delizioso, al sapor di festa. E’ tutto questo il cibo natalizio tipico della nostra città. Una lunga storia popolare fermata dai libri e della pubblicazione in genere susseguitesi negli anni. Ovada è luogo di passaggio. Risalendo nella storia, la cucina ovadese ha le sue radici in un’economia contadina; negli «Statuti di Ovada» del 1327, al capitolo Sì «dei Fornai», si legge: «al forno venivano portati a cuocere torte e tortelli, e il comune aveva l’obbligo di tenere aperti in Ovada ben tre forni». Il problema è uno solo: tutto era basato sulla parola, trovare ricette scritte è difficilissimo. La cena della vigilia (che doveva essere di magro) prevedeva un piatto di lasagna con le acciughe; le acciughe venivano sciolte in olio di noci e arricchite con crema di latte di affioramento, e parmigiano.

Dopo la Messa di mezzanotte la tradizione voleva che tornando a casa infreddoliti ci si riscaldasse con un piatto fumante di trippe in umido. Le trippe, molto ben lavate e bollite, venivano rosolate in olio, lardo, cipolla, carota, rosmarini, prezzemolo, salvia, timo, innaffiate con vino bianco, tirate a cottura con brodo, con l’aggiunta di un po’ di conserva di pomodoro. Una minestra ricavata dal brodo del pollo grasso nel quale era stato messo il pan grattato, i fegatini del pollo, tuorli d’uovo e il parmigiano grattugiato era l’apertura del pranzo del giorno di Natale. Non che il nome fosse particolarmente invitante: gli ovadesi del tempo chiamavano questo intruglio “caghetta dei bambèin” e non ci dilungheremo oltre sull’argomento. Il secondo piatto obbligatorio era era il cappone o la gallina ripiena bollita. Il ripieno veniva fatto con boraggine bollita, pane bagnato nel latte, uova, parmigiano, prezzemolo, maggiorana. Seguivano le «tommaselle» che si preparavano con una fetta di vitello sopra la quale veniva messo un ripieno fatto con poppa e carne magra di vitello rosolata, pane bagnato nel brodo, pinoli, funghi secchi, maggiorana, uova e parmigiano. Altra portata tipica natalizia era la «fricassea» costituita dalle ali, le creste, le rigalie dei polli, rosolate in cipolla, pinoli e sedano, bagnati con vino bianco, e cotti in brodo di pollo. Non mancava quasi mal sulla tavola il tacchino arrosto, accompagnato dalla mostarda fatta in casa con mele cotogne, tagliate a pari peso con mosto di dolcetto o di moscato, cotte con aggiunta di fichi, noci, nocciole, e un pizzico di senape per la conservazione. Seguivano i dolci. I più tradizionali erano: il latte alla spagnola, fatto con latte nel quale erano stati bolliti dei chicchi di caffè, o un baccello di vaniglia, e uova sbattute con zucchero; si cuoceva a bagno maria; e la crema f ritta preparata con latte, farina, uova bollite, poi fatta raffreddare, tagliata a piccoli rombi, passata nell’uovo e nel pan grattato, e fritta in olio bollente. il pan dolce, il torrone, i confetti, pere, mele, noci, nocciole, mandorle, fichi secchi, datteri chiudevano l’abbuffata per chi se lo poteva permettere.

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