“Quattro ore nelle tenebre”, la storia di un giusto tra le nazioni
Sabato 17 dicembre a Mornese alle 18.00 presso la sala consiliare del municipioi sarà presentato il libro quattro ore nelle tenebre di Paolo Mazzarello, edito da Bompiani. Il libro è incentrato sulle vicende che avvennero nel periodo tra l'estate 1943 e la primavera 1945 presso il Santuario di Nostra Signora delle Grazie nella zona della Rocchetta di Lerma, retto da Don Luigi Mazzarello
Sabato 17 dicembre a Mornese alle 18.00 presso la sala consiliare del municipioi sarà presentato il libro ?quattro ore nelle tenebre? di Paolo Mazzarello, edito da Bompiani. Il libro è incentrato sulle vicende che avvennero nel periodo tra l'estate 1943 e la primavera 1945 presso il Santuario di Nostra Signora delle Grazie nella zona della Rocchetta di Lerma, retto da Don Luigi Mazzarello
Il libro è incentrato sulle vicende che avvennero nel periodo tra l’estate 1943 e la primavera 1945 presso il Santuario di Nostra Signora delle Grazie nella zona della Rocchetta di Lerma, retto da Don Luigi Mazzarello.
Nel santuario vennero nascoste due famiglie ebree, che grazie all’impegno e anche all’astuzia di Don Luigi riuscirono a scampare alla persecuzione nazifascista.
Il libro racconta, facendo immergere i lettori in quegli anni terribili, una vicenda che forse non ebbe molta notorietà, negli anni successivi alla liberazione. Don Luigi Mazzarello però è annoverato tra i “Giusti tra le nazioni” presso lo Yad Vashem di Gerusalemme, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Israele.
Come mai, secondo lei, il gesto di Don Luigi fu presto dimenticato?
Ci sono, a mio parere, alcuni motivi. Prima di tutto si aveva voglia di dimenticare, di mettersi alle spalle un brutto periodo. Non tutti erano stati degli eroi, come è logico che sia, e il comportamento dei più era in troppo stridente contrasto con quei pochi che invece lo furono. Si preferì in genere lasciare che sopravvenisse l’oblio. Non era l’epoca delle celebrazioni di atti eroici che provenivano da un’epoca in cui l’Italia era stata profondamente divisa. I coniugi Levi (il protagonista ebreo della vicenda Enrico Levi era lo zio dello scrittore Primo Levi, ndR), tuttavia, ricordarono quanto era stato fatto per loro, donando al Santuario di Lerma una grossa cifrae due quadri di valore. Doni consistenti, nonostante i rovesci di fortuna che la famiglia ebbe dopo le leggi razziali e i molti problemi anche economici insorti con l’otto settembre.
Don Luigi non parlò di questi episodi?
Don Luigi aveva un carattere stravagante e anticonformista, ma modesto. Di certo non uno che andasse in giro a magnificare quello che aveva fatto. Molti sapevano che Don Luigi aveva salvato degli ebrei, ma è soltanto dopo che Gigino Mazzarello, suo nipote e testimone oculare, ha raccontato la vicenda, che i fatti sono riemersi in tutta la loro forza umana. Ricordi che il bambino ha continuamente rivissuto a contatto con lo zio, andando anche a Genova, dopo la guerra, a trovare gli ebrei salvati. Del resto è soltanto negli ultimi vent’anni che il numero dei “Giusti fra le Nazioni” è significativamente aumentato. Il tempo permette di vedere con più distacco il valore di quanto si fece.
Nel libro emerge la figura atipica di questo prete di campagna, legato ai ritmi della terra ma che aveva avuto modo di conoscere il mondo. Fu per questa conoscenza, questa visione, che ebbe il coraggio di fare quello che molti avrebbero potuto, ma pochi hanno fatto?
Penso di sì. Nato nel 1885, aveva conosciuto un’altra Italia. Era passato dalla povera vita contadina di fine Ottocento, al mondo nella sua immensità e ricchezza di popolazioni. Avendo viaggiato a lungo, aveva un vantaggio rispetto a chi era cresciuto in un’Italia che si risolveva totalmente nel fascismo. Certamente deve aver guardato con un occhio disincantato la retorica del regime e si trovò equipaggiato moralmente ad affrontare l’obbrobrio della persecuzione antiebraica. La guerra, poi, ha la capacità di tirar fuori il meglio e il peggio dalle persone. Don Luigi, con astuzia e furbizia, riuscì a dare il meglio.
Sullo sfondo della storia, il rastrellamento della Benedicta e l’eccidio di tanti ragazzi che speravano in un mondo migliore. Ancora oggi si fa fatica a raccontare quella storia, al di là della retorica ufficiale?
La storia della Benedicta è uno dei grandi episodi epici della guerra partigiana. Uno di quei momenti in cui la bellezza della natura si scontra con la vita e la morte, un episodio destinato a rimanere nella memoria collettiva della nostra zona. E’ ancora una ferita aperta perché troppi furono coloro che rimasero segnati nella carne da quelle vicende, troppe famiglie ne furono stravolte. Negli ultimi anni, grazie all’Istituto Storico della Resistenza e grazie all’Associazione Memoria della Benedicta, molti sono i lavori di documentazione e testimonianze raccolte. Tuttavia non sono molto conosciuti fuori dal novese. Nel mio libro ho voluto tentare qualcosa di diverso, ho cercato di narrare in maniera compatta e unitaria quella vicenda, sperando di dargli uno spessore letterario, far vivere la bellezza della natura dell’Appennino con l’abisso della guerra portato all’estremo limite, quello dell’uccisione di tanti giovani che si affacciavano alla vita.