L’America del giorno dopo
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L’America del giorno dopo

L'America il giorno dopo le elezioni si è svegliata per metà sentendosi dolorante e frastornata, per metà ringalluzzita nelle sue convinzioni. Ma immediatamente pronta a ricominciare. I toni così aspri e cattivi fino a ieri si sono calmati e da tutte le parti ci sono inviti alla collaborazione. Ma l’incognita del futuro rimane

L'America il giorno dopo le elezioni si è svegliata per metà sentendosi dolorante e frastornata, per metà ringalluzzita nelle sue convinzioni. Ma immediatamente pronta a ricominciare. I toni così aspri e cattivi fino a ieri si sono calmati e da tutte le parti ci sono inviti alla collaborazione. Ma l?incognita del futuro rimane

OPINIONI – L’America ha votato. L’America della paura del diverso, l’America del razzismo e della misoginia ha vinto. L’America del protezionismo, del conservatorismo e del farsi la giustizia da soli ha vinto. Di chi è la colpa?

Di chi ha sottovalutato la pancia degli americani, di quegli americani che hanno paura che gli stranieri portino via il lavoro, che non tollerano che le tasse vengano usate anche per aiutare i bisognosi, che trovano che il governo abbia troppa ingerenza nelle loro vite, che considerano dei depravati ed inferiori le persone gay e che non lasciano alle donne la possibilità di decidere sull’aborto e della propria vita. Trump gli ha dato la voce, li ha rappresentati, e direi egregiamente, visto che ha vinto.

Ma d’altra parte gli americani sono per la maggior parte così, non tutti, ma la maggior parte, e non c’è da stupirsene. È nel loro Dna e nella loro storia.

L’America non è quella che si vede quando si viene in vacanza qui, non è né NY, né Boston, né Chicago, né Los Angeles o San Francisco. L’America è quella del paesino dell’Iowa dove mio fratello si è fermato a far benzina la scorsa estate ed era il primo straniero che vedevano (glielo hanno detto), è quella delle fattorie lontane da tutto e tutti, è quella che ci viene fatta intravvedere da programmi televisivi trash come “15 and pregnant” (15 anni ed incinta) . Quella è l’America e quelli sono gli americani.

Sono quelli che partivano con le carovane per cercare fortuna, confidando nella loro pistola, con la bibbia in tasca e pronti a sfidare il mondo. Sono il self made man (l’uomo che si è fatto da solo ) senza l’aiuto di nessuno, tanto meno dello stato.

La mappa elettorale degli Usa per la maggioranza di colore rosso lo dimostra. Le enclavi blu (che è il colore dei democratici) sono raggruppate intorno alle grandi città dove il livello di educazione è più elevato, non c’è niente da fare.

Non so, ma pur volendo scacciare con tutte le forze l’idea che l’America alla fine avrebbe virato verso il passato e la chiusura su se stessa, temevo questo risultato. Forse la scelta del candidato democratico non è stata la migliore.

Non dico a tutti, ma sentendo in giro, era troppa la gente a cui Hillary Clinton non piaceva perché, a parte gli scheletri nell’armadio veri o presunti, incarnava l’establishment e la politica di professione e non ha mai entusiasmato le masse come invece era riuscito a fare Bernie Sanders, che comunque non avrebbe mai vinto alle elezioni generali, perché troppo a sinistra per la maggior parte dei democratici.

Così molti di loro, per non votare lei, o non sono andati a votare o hanno buttato via il loro voto dandolo agli altri due candidati, quello del partito libertarian e quello del partito verde, i cui voti sarebbero andati ad un candidato democratico, certo non ad un repubblicano! Quel tre-quattro per cento in più sarebbe bastato ad Hillary Clinton per vincere molti degli stati in cui Trump ha prevalso.

Il sistema elettorale americano per altri è il colpevole della debacle. I collegi elettorali infatti non sempre riflettono il voto popolare, per cui sembra che in realtà Hillary Clinton abbia vinto per numero di voti.(come era già successo ad Al Gore nel 2000 quando aveva perso contro Bush).

In ogni caso ha perso in stati che venivano dati come sicuri al partito democratico come il Wisconsin, il Michigan e il Minnesota, che hanno un bel po’ di importanza per la vittoria di uno o dell’altro candidato e questo deve fare pensare.

Se ci fosse stata una vittoria netta, questa differenza tra collegi e voto popolare non sarebbe stata così importante.

L’America comunque ha parlato ed ora abbiamo il quarantacinquesimo presidente. E sarà Donald Trump. Che ci piaccia o no.

E l’America il giorno dopo le elezioni si è svegliata, per metà sentendosi dolorante e frastornata come dopo una sbronza colossale, per metà ringalluzzita nelle sue convinzioni. Ma immediatamente pronta a ricominciare.

I toni così aspri e cattivi fino a ieri si sono calmati e da tutte le parti ci sono inviti alla collaborazione e al “volemose tutti bene”.

L’incognita del futuro rimane. Alla fine sinceramente, a parte lo slogan “facciamo l’America grande di nuovo”, non è che si capisca tanto quello che succederà. Vorrei dire a mia figlia, come giovane donna, ai miei amici gay e alle persone delle altre minoranze che tutto andrà bene, ma non posso perché non lo so.

Vorrei essere convinta che le politiche che si intravvedono (al di là degli slogan) nel programma del nuovo presidente daranno veramente una spinta alla classe media, che si è sentita rappresentata da lui e che lo ha votato, portandolo alla vittoria.

Non possiamo fare altro che aspettare e vederlo all’opera. Basta parole. L’ America è una grande democrazia e io credo nella democrazia. Mi piego al volere della gente e fra 4 anni si vedrà cosa avrà fatto e se si meriterà un secondo termine o no.

Mi fermo qui. Mi danno fastidio tutti quelli che si ergono in queste ore ad esperti e che invece non sanno niente. Me compresa. Posso solo aggiungere che la Brexit, le elezioni americane e molte idee politiche che circolano in Europa sono tutte figlie della stessa origine, per cui non diciamo ” A noi non succederà”.

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