Gaviese e Ovadese, così vicini e così lontani
Il confronto fra territori con il primo che esporta, mediamente, lottanta per cento della produzione, e il secondo che invece fatica ad arrivare a un quindici per cento. Due terroir diversi e due valorizzazioni molto lontane. Lanalisi della Cia dellandamento della vendemmia 2016
Il confronto fra territori con il primo che esporta, mediamente, lottanta per cento della produzione, e il secondo che invece fatica ad arrivare a un quindici per cento. Due terroir diversi e due valorizzazioni molto lontane. Lanalisi della Cia dellandamento della vendemmia 2016
Il viaggio fra quattro realtà diverse per produzione, storia, territorio, cultura e innovazione mette a fuoco uno spaccato che trova riscontri analoghi anche in altre zone della provincia. Uno spaccato che parla di differenze che sono uno straordinario valore aggiunto in termini di identità e qualità, ma che non viene ancora valorizzato per quello che rappresenta.
La prima tappa è alla Tenuta San Pietro di Tassarolo che si estende su 65 ettari di superficie complessiva dei quali 35 vitati principalmente a Cortese di Gavi e una piccola parte a vitigni di uve a bacca nera autoctone (Albarossa, Barbera, Nibiö) e Chardonnay per la produzione di spumanti; la restante parte è occupata da prati e boschi. Nel 2002 la Tenuta è stata acquistata dall’imprenditore milanese Corrado Alota che opera nei settori immobiliare e della moda. L’etica aziendale è fondata sui principi della sostenibilità, della tutela ambientale e del vigneto biologico, oggi quasi interamente biodinamico. Niente chimica, nemmeno per concimare. Prima dell’inverno vengono sotterrate nei vigneti delle corna di mucca con letame e tolte in primavera: l’humus ottenuto dal processo è quello che nutre il terreno. Un altro preparato a base di quarzo con cui sono riempite le corna, anch’esse sotterrate per alcuni mesi, è invece nebulizzato sulle foglie. “I nutrimenti naturali rendono le piante più forti” assicurano in azienda. L’ampia esposizione dei vigneti, il vento marino che toglie umidità e favorisce i profumi (ma crea problemi per la diffusione di oidio), una spinta all’innovazione però sempre attenta all’ambiente e alla qualità oggi consentono all’azienda che annualmente produce 250.000 / 280.000 bottiglie di essere presente nei ristoranti, nei wine bar e nelle enoteche di Europa, Stati Uniti, Giappone ed estremo oriente, Australia, Sudafrica. Non mancano gli spumanti con un rosé prodotto con uva Albarossa al cento per cento.
Da Tassolo a Monterotondo. Sempre Gaviese e sempre un’azienda concentrata sulla qualità dei vini prodotti in una zona dal particolarissimo microclima. La Ghibellina, fondata nel 2000 da Alberto e Marina Ghibellini, si estende su una superficie di circa 20 ettari di cui otto vitati. Piccola come dimensioni e produzione, circa sessantamila bottiglie (Gavi, una barbera e un merlot entrambi in purezza), ha fatto il salto dal tradizionale al biologico (è certificata da quest’anno), cercando ogni anno di introdurre una novità per rispondere a un mercato di nicchia che chiede qualità. “Un buon Gavi è il risultato dell’equilibrio tra pianta e territorio. Per ogni produzione – dice Marina Ghibellini, ‘cantiniera’ dell’azienda – cerchiamo il meglio. Ad esempio, produciamo uno spumante metodo classico con fascetta (consente la tracciabilità della bottiglia, ndr) in tremila bottiglie (mille a quarantotto mesi e duemila a ventiquattro)”. La lavorazione in vigna è tutta manuale, come è artigianale la gestione in cantina. “Ci teniamo a una cura che è premiata dal mercato, estero in particolare” aggiunge.
Dal Gaviese al vicino Ovadese, con Cascina Boccaccio di Tagliolo dove i vigneti oltre a Dolcetto sono in minima parte coltivati a Cortese (molto particolare il bianco rifermentato in bottiglia, con tappo a corona) e gli appezzamenti si estendono per tre ettari su una superficie aziendale di circa sette. La gestione famigliare è svolta principalmente a mano secondo le regole dell’agricoltura biologica. Le origini dell’azienda risalgono al bisnonno Celso, classe 1875, e oggi le redini sono affidate a Roberto Porciello e alla moglie Ileana (nipote di Celso). La produzione, in larga misura di Dolcetto, si attesta sulle quindicimila bottiglie all’anno e un mercato che per oltre l’ottanta per cento è italiano, mentre la piccola quota di estero è suddivisa fra Gran Bretagna, Canada e Repubblica Ceca. “Puntiamo – dicono in azienda – su prodotti sinceri, veri, non sul vino ruffiano che deve piacere a tutti”: Per la zona la novità è la denominazione ‘Ovada Docg’ e l’attività di un consorzio che riunisce oltre venti produttori, altrettanti Comuni e che punta alla promozione di un territorio che si identifica con il vino. La proposta del ‘menu Ovada’ (piatti tipici abbinati al dolcetto con la nuova denominazione) comincia a funzionale, però “continua mediamente a mancare la cultura da parte della ristorazione in generale che non sembra interessata. Sono state proposte degustazioni e iniziative per fare conoscere il ‘nuovo’ dolcetto, ma la risposta è stata scarsa”.
Nella vicina Ca’ Bensi, sempre a Tagliolo, dove i vigneti assicurano una produzione che oscilla fra le trenta e trentacinquemila bottiglie tra Dolcetto, Cortese, Barbera e in po’ di Sauvignon e Vermentino, viene espressa la massima convinzione rispetto all’Ovada Docg perché “intorno al vino ci vuole un territorio dove si fondono e coniugano la gastronomia, la cultura e l’arte”. I vini sono in larga misura destinati alla ristorazione e alla piccola distribuzione, con una quota significativa riservata all’acquisto privato diretto (all’interno dell’azienda è nato l’agriturismo Al Chiar di Luna), mentre l’estero pesa poco. L’innovazione tecnologica non manca ed è testimoniata dai due pannelli fotovoltaici (potenza totale 15 Kw), installati su pali d’acciaio alti circa cinque metri che seguono la luce durante la giornata e forniscono l’energia necessaria (circa 25.000 Kw/h annui) a tutte le attività. Installato nel luglio 2009, l’impianto, costruito da una ditta tedesca con materiali altamente tecnologici, è costato circa centomila euro. L’energia non utilizzata viene ceduta in rete.
Sul fronte più generale della vendemmia 2016, Gian Piero Ameglio, presidente della Cia, parla di “una buona campagna di raccolta, per qualità e quantità. Anche i problemi di siccità sono stati risolti a metà mese e i viticoltori avranno un ottimo prodotto”. E Carlo Ricagni, direttore provinciale, parla di una annata “finalmente normale.” Una stagione estiva “più stabile nelle temperature e nell’andamento climatico” dovrebbe così assicurare “vini molto equilibrati che potranno dare grandi soddisfazione”.