La lingua che parliamo si adegua al posto in cui viviamo
Come non sono ancora totalmente a mio agio a parlare inglese in quanto mi faccio sempre domande specialmente per quanto riguarda la costruzione delle frasi, non lo sono più a parlare italiano in ambienti che non siano il mio ristretto nucleo familiare, i miei amici e i miei studenti. Mi sto tramutando da italiana in italo-americana
Come non sono ancora totalmente a mio agio a parlare inglese in quanto mi faccio sempre domande specialmente per quanto riguarda la costruzione delle frasi, non lo sono più a parlare italiano in ambienti che non siano il mio ristretto nucleo familiare, i miei amici e i miei studenti. Mi sto tramutando da italiana in italo-americana
Rimane vero però che parlando una lingua solo in un ambiente domestico, per me e credo che sia un’idea che frulla in testa a molti italiani che vivono all’estero, diventa difficile mantenere la proprietà di linguaggio e il vocabolario che si aveva in precedenza, perché gli argomenti di cui si parla sono limitati e pure il vocabolario che si tende ad usare.
Se nella vita di tutti i giorni, mentre si è all’estero, questo non è evidente, in quanto siamo tutti preoccupati più a parlare bene e a cercare di migliorare la nostra seconda, terza, quarta lingua, comunque la lingua che si parla nel luogo in cui viviamo, la realizzazione di essere diventata poco naturale nell’uso dell’italiano capita quando devo parlare italiano in situazioni “ufficiali” o quando torno in Italia.
A quel punto la realizzazione dei miei limiti linguistici crea situazioni comiche tragicomiche) e imbarazzo mio, spero solamente non così evidente per chi mi ascolta. Comunque a prescindere da ciò che alla fine riesco ad esprimere, faccio una fatica immane.
Ecco l’ho detto. Non faccio così fatica a scrivere l’italiano, quanto a parlarlo. Come non sono ancora totalmente a mio agio a parlare inglese in quanto mi faccio sempre domande specialmente per quanto riguarda la costruzione delle frasi, non lo sono più a parlare italiano in ambienti che non siano il mio ristretto nucleo familiare, i miei amici e i miei studenti, che tanto non capiscono se dico cavolate o no, poveretti.
Mi sto tramutando da italiana in italo-americana.
L’anno scorso sono venuti in università, in tempi molto ravvicinati, un professore di Economia della Luiss di Roma e uno di Linguistica di Oxford , ma piemontese come me. Io e la mia collega, che è romana, siamo state invitate a rappresentare il dipartimento di Italiano alle loro conferenze, che erano naturalmente in inglese. Dopo le conferenze ci siamo presentate e entrambi molto gentili hanno cominciato a fare domande su di noi: che fatica, rispondere.
Esce fuori anche la voglia di fare “bella figura”, di non fare sfigurare l’università che ti ha assunta e di usare un italiano più forbito di quello “quotidiano” ed è fatica pura. Una fatica che non facevo quando vivevo in Italia e una realizzazione: l’inglese per me ora è diventato la lingua delle situazioni ufficiali.
Ogni tanto mi capita pure di inventare termini in italiano e così succede anche a mio marito e credo a molti altri come noi. Peccato che ce ne accorgiamo solo negli altri e non quando a dire castronerie siamo noi. Così, prima di parlare, è come se per molte parole andassimo a sfogliare mentalmente il vocabolario della lingua italiana prima di pronunciarle. Esisterà quella parola o no?
Ogni tanto mia mamma, mia fervente lettrice da queste pagine, mi avverte che ho scritto qualche parola inesistente pure quando scrivo queste opinioni. Lei me lo dice, chissà quanti di voi lo notano e pensano solo: “Ma da dove arriva questa?”. Bene sappiate che ci vuole originalità anche in quello. Scusate, ma perché “petaloso” dovrebbe essere applaudito dalla Accademia della Crusca e le mie invenzioni, no?
Un’altra considerazione però devo farla: non sarà che mi sento inadeguata quando parlo italiano, dopo i miei 21 anni all’estero, perché la lingua è evoluta anche lì in Italia e, pur guardando la tv e leggendo i giornali, non riesco a stare al passo con essa ed è come per la moda: sono fuori moda?
Forse il mio italiano è davvero obsoleto, non sono al passo con i tempi e forse, se non è ancora “Italianish”, si sta tramutando in qualcosa di ibrido, dove molte volte un termine inglese viene usato per brevità ed efficacia a sostituirne uno italiano lungo e ridondante, pur circondato da una costruzione grammaticale corretta, oppure solo perché la parola italiana “manca”, non c’è più. Il cervello ha fatto una scelta: una parola poco usata ha lasciato il posto ad una forse più utile.
Mi inchino a chi di lingue ne sa molte e le tiene distinte nel cervello e tutte integre. A me non è successo, però… Però, anche se il mio italiano non è più perfetto, il mio inglese non lo è ancora, il mio francese, lasciamo perdere e il mio spagnolo non c’è mai stato, sapere delle lingue straniere apre la mente e fa imparare altre culture e fa diventare “ daring”, cioè audaci e coraggiosi a volere comunicare con gli altri. E questo a me succede sempre.
Così quando l’altro giorno nel parcheggio del supermercato un signore che riorganizzava i carrelli, un signore messicano che non parlava una parola in inglese, mi ha detto in spagnolo se poteva aiutarmi a caricare la spesa in macchina, io ho capito e gli ho risposto con il mio “spanitagliano” , lui era così contento che si è messo a chiacchierare come se fossimo vecchi amici e io a rispondergli e lui a dirmi “brava”. E così succede quando vado nei paesi di lingua spagnola o francese. Io parlo, metto tutto insieme e mi faccio capire e più sto in un posto più le regole ritornano ed il vocabolario pure.
Quindi considerazione finale, è vero che è ora che io venga un po’ in Italia e parlare con voi per aggiornare il mio italiano e, visto che ci sono, anche il mio armadio.