God’s not dead
Un film fatto bene, professionale, dinamico, che espone con chiarezza quali sono i termini del dibattito corrente, ma senza annoiare, anzi mettendo in evidenza, con lintreccio delle vite dei diversi personaggi, i problemi di base che ogni singolo essere umano si trova ad affrontare nella ricerca di senso per la propria vita
Un film fatto bene, professionale, dinamico, che espone con chiarezza quali sono i termini del dibattito corrente, ma senza annoiare, anzi mettendo in evidenza, con lintreccio delle vite dei diversi personaggi, i problemi di base che ogni singolo essere umano si trova ad affrontare nella ricerca di senso per la propria vita
Ho comprato anche il libro da cui il film è tratto, stesso titolo, scritto da Rice Broocks, laureato in Business Administration e Teologia. Non l’ho ancora letto, quindi non posso criticarne il contenuto, ma trovo il sottotitolo “Prove dell’esistenza di Dio in un’epoca di incertezza” esagerato e un po’ fuorviante. Dopo duemila anni di elucubrazioni teologiche e filosofiche parlare di prove ha un sapore fra l’ingenuo e l’arrogante (il sottotitolo in inglese è più morbido, parla di “evidence for God”), anche perché il termine “prova” nella nostra testa viene associato automaticamente all’idea di prova scientifica dato che, ormai, solo di quella ci fidiamo.
Ma proprio qui nasce il primo problema. Il metodo scientifico si basa su un presupposto indimostrato: i fenomeni naturali si spiegano solo con altri fenomeni naturali, gli effetti e le loro cause sono da cercare nella sola natura. Il metodo, quindi, studia soltanto fenomeni che si possano riprodurre, ripetere più di una volta e da più sperimentatori (è la scienza galileiana, come la chiama Zichichi). Non sono oggetto della sua analisi tutti i fenomeni che accadono una sola volta: la storia, anche la storia dell’evoluzione, come tale, è fuori del suo campo. Se ci fosse un folletto a far cadere sistematicamente le mele dall’albero con la stessa accelerazione, noi gli daremmo il nome di legge di gravità; ma se il folletto facesse andare le mele qua e là in modo strano parleremmo di comportamento casuale, stocastico e cercheremmo di descriverlo con metodi statistici nella fiducia (o nella fede…) che, un giorno, potremo scoprirne le cause. Ma il folletto, o Dio, sarà sempre fuori dalle nostre ipotesi.
Detto questo, però, la nostra fiducia nella scienza (che, va riconosciuto, ci ha dato risultati ed applicazioni indiscutibili e senza precedenti) non vacilla nemmeno quando veniamo a sapere che con i dati che abbiamo e le leggi che conosciamo non riusciamo a spiegare come l’universo riesca a stare assieme! Per farlo, infatti, sembra che l’universo, frutto del Big Bang, debba contenere una massa ed una energia 25 volte superiori a tutto quello che conosciamo (il 96% del totale sarebbe costituito di massa ed energia cosiddette oscure che non sappiamo dove siano e di cosa siano fatte).
Ed è proprio al Big Bang che il film fa riferimento come primo fatto a favore, o non in contraddizione, con il racconto biblico. Ancora Einstein e quasi tutti prima di lui pensavano che l’universo fosse stazionario, ma nel 1929 Hubble, con la misura del “red shift” della luce emessa dalle galassie, scoperse che, invece, l’universo è in espansione. Non solo ma le galassie più lontane si allontanano più velocemente di quelle più vicine e la velocità a cui viaggiano è proporzionale alla distanza che hanno già percorso. Per cui se si potesse tornare indietro nel tempo le vedremmo partire tutte insieme nello stesso momento circa 14 miliardi di anni fa. Il racconto di una creazione iniziale, incompatibile con un universo stazionario, trova oggi quasi una conferma nel concetto del Big Bang.
La seconda “prova” riguarda, invece, l’origine della vita. Nonostante gli esperimenti di Miller a metà del secolo scorso, che riuscì a produrre con scariche elettriche alcuni componenti organici, non abbiamo alcun elemento concreto su come la vita abbia potuto formarsi spontaneamente. Le teorie sono tante, dal brodo primordiale al fatto che la vita sia una caratteristica intrinseca della materia, il suo quarto stato, dopo il gassoso, il liquido e il solido, passando per l’idea che essa sia arrivata dallo spazio, visto che sembra essersi sviluppata poco dopo la formazione della terra stessa e visto che dei composti organici si sono trovati sulle comete. Anche la teoria della complessità è stata evocata per far emergere spontaneamente dai sistemi complessi caratteristiche nuove (in questo caso la funzione vitale). Ma la quantità di informazione registrata nel DNA, i sistemi per la sua riproduzione e per l’autocorrezione sono tali da rendere inimmaginabile la formazione spontanea casuale di qualcosa del genere. Anche Craig Venter che ha di recente realizzato il primo batterio “artificiale” ha in realtà modificato il DNA di un batterio già esistente. Certo chiamare in causa Dio per spiegare fenomeni altrimenti inspiegabili, a qualcuno può far venire in mente il “Dio – tappabuchi” che viene fatto intervenire a causa della nostra ignoranza, per poi essere espulso dal buco quando la scienza ne trova la spiegazione. Eppure un filosofo, ateo, come Thomas Nagel scrive che ci deve essere ben di più di quanto il neodarwinismo pensa ed un altro, Antony Flew, dopo una vita da campione dell’ateismo, considerando questi problemi si è convertito ad una forma di teismo cristiano.
Il terzo elemento preso in considerazione dal film riguarda le basi costituenti della morale e soprattutto le basi per un comportamento coerente con essa. E sostiene in sostanza le stesse ragioni di cui ho scritto nell’Opinione “L’effetto che fa”, pubblicata su questo sito all’inizio di Aprile, a cui vi rimando. Ri-cito qui soltanto le conclusioni di Paolo Flores D’Arcais, ateo: “Questo agire insieme – credenti e non credenti – per l’eguale dignità e la giustizia, implica dunque per il cristiano di oggi la lacerazione tra fede e Chiesa, tra obbedienza al Vangelo e obbedienza alla gerarchia. Ma per l’ateo esige qualcosa di assai più difficile da affrontare: il circolo vizioso per cui praticare la solidarietà effettiva, e il primato del tu, implica il dovere di sacrificarsi … che riesce in genere solo se si ha fede in un Altro (inteso proprio come Dio padre).” In sostanza se non si crede seriamente in un Dio al di sopra di tutti non troviamo una ragione cogente per un comportamento morale che vada contro il nostro egoismo.
Ma anche questa non è una “dimostrazione” dell’esistenza di Dio, è solo la constatazione che di Lui c’è bisogno, un bisogno profondo, non certo per spiegare tuoni e lampi nel cielo. Qualche evoluzionista ha pensato bene di spiegare la formazione e la permanenza delle religioni ancora oggi col fatto che esse costituiscono un fattore utile nella battaglia per la sopravvivenza dei gruppi sociali. In questo modo, però, da un lato si dimostra il contenuto lapalissiano e tautologico di certo neodarwinismo: la selezione naturale permette la sopravvivenza dell’organismo più adatto all’ambiente, ma qual’è l’organismo più adatto? ovviamente quello che è sopravissuto! Dall’altro lato si entra in una contraddizione in termini: l’ateo, che sa che non c’è Dio, scopre di essere destinato all’estinzione, perché chi crede in Dio ha più capacità di sopravvivere.
Tutte queste considerazioni danno una base ragionevole per tenere aperta la porta a Dio. Ma, tutti ci chiediamo, a quale Dio? Come il citato Antony Flew con questi ragionamenti possiamo arrivare soltanto ad una forma di teismo, che è comunque già un bene.
Nel film, però, si dà quasi per scontato che il Dio a cui si arriva è il Dio di Gesù Cristo. L’autore del libro, con cui ho parlato, invece, aggiunge un elemento ulteriore prima di arrivare a quella conclusione: un fatto storico. Ed il fatto è la risurrezione di Gesù.
Del resto come scrive l’apostolo Paolo ai Corinzi “Se Cristo non è risuscitato, vana è la vostra fede”. Questo è l’elemento che distingue il cristianesimo dalle filosofie (e da altre religioni). E’ una verità di carattere storico, un evento unico, che non si può riprodurre in laboratorio, e quindi, di nuovo, non “scientifico”. L’unico elemento concreto disponibile, secondo qualcuno, è la tomba vuota. Tra le infinite considerazioni che si sono scritte su questo fatto citerò solo questa. Durante il processo e la morte di Gesù i suoi seguaci sono rimasti nell’ombra: Pietro lo ha rinnegato, secondo i vangeli sinottici le donne guardavano la crocifissione da lontano, soltanto Giovanni racconta che lui, Maria e altre donne sono stati ai piedi della croce, almeno per un po’.
Se Gesù non è resuscitato, nei quaranta giorni tra la sua morte e la sua non ascensione, i discepoli avrebbero messo a punto un piano propagandistico che li avrebbe portati poi a morire martiri in giro per il mondo. Ha senso? Certo si potrebbe anche parlare di allucinazione collettiva. Ma un’allucinazione che è durata una vita.
Un’allucinazione che si è riprodotta nei secoli in milioni di vite. Fate voi.