Parole sbagliate, idee confuse
Di questi tempi gli esempi non sono mancati. La grande battaglia ideologico-mediatica del recente referendum sulle trivelle è il più eclatante
Di questi tempi gli esempi non sono mancati. La grande battaglia ideologico-mediatica del recente referendum sulle ?trivelle? è il più eclatante
Di questi tempi gli esempi, purtroppo, non sono mancati. La grande battaglia ideologico-mediatica del recente referendum sulle “trivelle” è il più eclatante.
Già parlare di trivelle era fuorviante, visto che si doveva decidere dell’estensione temporale delle concessioni estrattive esistenti, per trivellazioni già fatte da anni, ma secondo qualcuno lo slogan “trivella tua sorella” era molto più efficace sulla debole psiche degli italiani che non l’uso di termini corrispondenti alla realtà delle cose.
Il film di Greenpeace fatto circolare su Youtube e Facebook con il cormorano coperto di catrame era la dimostrazione che si voleva dare un quadro falso della nostra realtà in Adriatico, dove il 97% della materia estratta è gas e dove in anni di attività non si sono mai verificati incidenti di rilievo.
Qualcuno si appellava allora al famigerato principio di precauzione: finora non è successo niente, ma in futuro chi può dirlo? Per lo stesso principio i paladini del SI avrebbero dovuto andare in televisione a piedi, perché tutti i giorni qualcuno muore in un incidente stradale… (a proposito, perché non fare un referendum per vietare il pericoloso uso delle auto, che pure inquinano?).
C’era poi chi giustificava la perdita di “solo” il 2-3% della produzione nazionale di idrocarburi come stimolo a sviluppare l’uso delle energie rinnovabili (fingendo di non sapere che il vero risultato sarebbe stato l’aumento delle importazioni…). Sarebbe come licenziarsi subito perché così si è stimolati a cercare un lavoro migliore!
Di fronte alle (spesso esagerate) migliaia di posti di lavoro che si sarebbero persi, i propagandisti del SI cominciavano a minimizzare: in realtà una sola piattaforma si sarebbe chiusa entro il 2017 e solo 5 o 6 entro il 2020… Ma allora a che scopo fare tutto questo ca…os e spendere tutti questi soldi? Mistero.
La decisione del Pd (o del suo segretario) di lasciare liberi gli iscritti di andare a votare o meno è anche curiosa: in un partito democratico di un paese democratico dove i cittadini sono abituati a fare quel che vogliono, cosa significa “lasciare liberi”? Potevano forse essere obbligati? Sono parole che mi ricordano tempi bolscevichi. A volte riemergono dal profondo dell’inconscio…
Ma il bello è che il non troppo implicito consiglio di non andare a votare per sabotare il quorum (e non è certo stata la prima volta) è stato condannato come un attacco, alla democrazia, alla Costituzione, alla libera espressione della volontà popolare. Ma di quale volontà popolare stiamo parlando se il referendum è stato chiesto da meno di dieci persone, anche se Presidenti di Regioni? Dov’è la volontà popolare? Perché non si sono raccolte le firme prima?
Dopo il penoso risultato, invece di parlare di sconfitta, qualche perdente ha avuto il coraggio di gridare alla vittoria perché i SI sono stati più delle loro previsioni. Ma allora sono pure disonesti, perché sapevano di perdere e ci hanno fatto perdere tempo e soldi per altre poco ignote ragioni! Non solo, il presidente della Regione Puglia ha pure dichiarato che avevano vinto già prima del referendum perché delle cinque richieste delle Regioni quattro erano già state accolte. Ma perché hanno fatto, allora, tutto questo stupido pandemonio?
E non sembra finita. Barbara Spinelli ha presentato un’interrogazione alla Commissione Europea chiedendo di aprire una procedura di infrazione per la violazione delle regole della concorrenza perché con questa legge le concessioni vengono estese senza fare una gara internazionale. Peccato che le piattaforme non siano dello Stato, ma private. Quindi se si fa una gara e la concessione viene vinta da un concorrente, questo dovrebbe trivellare di nuovo! Siamo veramente alla follia.
Ma, ovviamente, i casi in cui si usano termini sbagliati e fuorvianti sono molti. Per motivi “professionali” i politici sono coloro che li praticano di più, ma i mezzi di informazione dovrebbero sentire il dovere di smentire e fare chiarezza. Invece…
Il problema è che certe usanze sono ormai entrate (o forse non ne sono mai uscite) nel costume e nella cultura del paese e sono assunte e diffuse capillarmente dai mezzi di comunicazione. Spesso siamo più portati alla battaglia ideologica strillata che non al ragionamento pacato e possibilmente obbiettivo. Basta vedere come si svolgono molti talk show.
In questi giorni alla radio sono stati celebrati i 20 anni dalla istituzione in Italia del “diritto alla salute”. Ormai è un concetto acquisito, tutti usano questo termine quando si discute di salute pubblica, di sanità o di malasanità. Ma che senso ha parlare di “diritto” alla salute? Al massimo si potrebbe rivendicare il diritto di essere curati, o di non perdere la salute che abbiamo, poca o tanta che sia, per colpa di altri. Ma posso rivendicare il diritto di “essere sano”? E’ come rivendicare il diritto di essere bello, o di essere intelligente.
Qualcuno rivendica pure il diritto ad essere felice. Jefferson nella Dichiarazione di Indipendenza americana ebbe almeno il buon senso di parlare di diritto alla ricerca della felicità…
Eppure è ormai diventato normale pensare che abbiamo il diritto di pretendere di essere serviti, aiutati, salvati dalle strutture pubbliche ed è diventato normale dare subito la colpa agli altri se non siamo aiutati immediatamente.
Su La Stampa del 24 aprile, ad esempio, c’è il caso, triste e doloroso, di una neonata di 2 mesi che, in una frazione di Giaveno, sviene in braccio alla madre durante la pulizia del naso. Dal 118 istruiscono la madre nella rianimazione mentre l’ambulanza impiega 18 minuti ad arrivare, anche a causa di indicazioni stradali sbagliate. Arriva anche l’elisoccorso che porta la bimba all’ospedale di Rivoli dove viene intubata e stabilizzata e poi, ancora in elicottero, trasferita all’ospedale infantile Regina Margherita, dove, però, dopo un’ora e mezza di trattamenti la neonata muore. Uno dei titoli sul giornale recita “L’accusa dei genitori: ‘Soccorsi in ritardo, ce l’hanno uccisa’”. Io penso che il termine uccidere, in questo caso, sia una parola sbagliata dovuta ad idee confuse.
Un altro caso che dimostra qualche confusione di idee è stato quello della giovane ricercatrice torinese assassinata a Ginevra da un fusto senegalese poco di buono con cui aveva avuto la sventura di iniziare una relazione che voleva poi troncare. Ai funerali il parroco in uno slancio retorico ha affermato che Valentina era una santa che non sarebbe finita, però, sul calendario. Ora, per quanto si possa esecrare l’ennesimo femminicidio, a me pare che dichiarare santa la povera vittima dimostra un uso sbagliato dei termini e una certa confusione di idee.
Circa un mese fa un bus spagnolo, per un colpo di sonno dell’autista, si è schiantato causando la morte di sette studentesse italiane in Spagna con Erasmus. Nel dolore e nell’isteria generale vagante qualcuno ha proposto di vietare le gite in bus e di chiudere Erasmus, poi di dare ai professori la responsabilità di controllare lo stato dei bus usati per le gite scolastiche (come chiedere alla hostess di controllare i motori dell’aereo…). Infine è arrivata la richiesta al governo di legiferare per stabilire dei controlli speciali sui bus usati per le gite degli studenti. Il che significa che, per questi nobili spiriti, i vecchietti in pellegrinaggio o gli operai pendolari possono pure morire su pulmann scassati! In questo caso idee confuse che producono parole sbagliate.
E’ un cane che si morde la coda, una spirale in discesa: idee confuse producono parole sbagliate che provocano idee confuse in altri che a loro volta straparlano.
Come interrompere questo circolo vizioso?