La peggio gioventù
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21 Marzo 2016
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La peggio gioventù

Periodicamente balzano alla cronaca episodi di eccezionale gravità che coinvolgono giovani, più o meno dentro o fuori da quell'adolescenza prolungata che pare ormai, almeno psicologicamente, non avere più un confine temporale

Periodicamente balzano alla cronaca episodi di eccezionale gravità che coinvolgono giovani, più o meno dentro o fuori da quell'adolescenza prolungata che pare ormai, almeno psicologicamente, non avere più un confine temporale

OPINIONI – Il titolo del pezzo di questa settimana gioca ad imitare in negativo quello del film di Marco Tullio Giordana “La meglio gioventù”, a sua volta derivato dall’omonima raccolta di poesie di Pierpaolo Pasolini. È solo un gioco di parole, l’articolo nulla ha a che fare con gli anni della contestazione e nemmeno vuole avere un taglio informativo o di cronaca, vuole solo fare riflettere, scavare un po’ dentro di noi che siamo un frammento della società in cui viviamo.

Periodicamente balzano alla cronaca episodi di eccezionale gravità che coinvolgono giovani, più o meno dentro o fuori da quell’adolescenza prolungata che pare ormai, almeno psicologicamente, non avere più un confine temporale.
Scatta immediato lo sdegno, seguito dalla richiesta di pene esemplari, tralascio quelle dei social network che si mettono sullo stesso piano delle azioni degli assassini, lasciamo la ghigliottina nel passato che è meglio.

Poi segue la riflessione superficiale, quella che sfiora appena le onde: questi giovinastri sono l’esito di una società malata, che ha perso di vista i valori e viziato in un modo intollerabile i propri figli. Come tutte le generalizzazioni probabilmente anche questa un fondo di verità lo contiene, ma capire richiede uno sforzo maggiore e una volontà di approfondire.

È proprio vero che la società in cui viviamo si sia così progressivamente deteriorata e che il passato fosse esente da episodi simili?
Un po’ di passione storica mi fa rispondere: no, episodi di questo tipo ci sono sempre stati.

Senza andare a cercare fatti troppo remoti, anche se aver citato Pasolini all’inizio non può non riportarci alla sua tragica morte in cui furono coinvolti giovani di strada, basti pensare, tanto per rimanere nella capitale, ai tragici fatti del Circeo, o ancora alle stragi familiari, quelle il cui responsabile dopo anni di carcerazione è recentemente finito in ospedale psichiatrico, quelle più vicine a noi che hanno segnato una cittadina come Novi Ligure.
A guardarla da questo punto di vista la considerazione più evidente parrebbe quella che ogni epoca contiene ed ha contenuto il suo potenziale di violenza che episodicamente viene a galla con esplosioni insensate che ci lasciano senza fiato. E se questo ci sconvolge quando si tratta di adulti, ci lascia annicchiliti quando si tratta di giovani.

Questo accade per quel quadretto idilliaco che presenta la giovinezza come l’età dell’oro, della freschezza, dell’ingenuità, della spensieratezza, un’età non contaminata.
Ed ecco perché il mondo adulto tende a giustificare le azioni sconsiderate come ragazzate, errori giovanili che verranno superati e ricordati come eventi di una gioventù birbantella e scapestrata.
Niente di più falso l’infanzia e la giovinezza altro non sono che età dell’uomo in cui l’individuo dimostra già il proprio carattere, magari informe, in evoluzione, ma comunica già segnali chiarissimi di quella che sarà la sua personalità futura, e non sono rose e fiori sempre, lasciatelo dire ad una che per mestiere di giovani ne ha visto tanti, una moltitudine.

I giovani sono quindi persone nel senso più vicino all’etimologia latina, cioè maschere, sono già degli uno, nessuno e centomila, cioè degli individui di una complessità incredibile, forse troppo per una società che si ferma ad una maschera e su quella elabora le proprie teorie psico-sociologiche.
Le famiglie, anche quelle da manuale, spesso, in passato, come ora, hanno visto solo ciò che volevano vedere (era tanto un bravo ragazzo) oppure, distratte da altro, nemmeno hanno visto, tante hanno gettato la spugna dichiarando ogni intervento educativo inutile (è inossidabile, inscalfibile).
La scuola è impotente, con pochi mezzi, pochi spazi di intervento psicologico, intervenire di volta in volta su 25 o più uno nessuno e centomila è un’impresa titanica, per la quale nessun docente è mai sufficientemente preparato.

A volte l’impressione è quella di trovarsi di fronte nessuno, di interagire con vuoti cosmici incapaci di esprimere il proprio mondo interiore, incapaci di porsi delle domande, incapaci di riflettere sulle proprie azioni, inabili a connettere causa ed effetto.
Invece dove il vuoto viene a galla con una vana maschera che può anche sembrare innocua e venata di debolezza, dentro albergano le peggio cose e ce ne sono tante e così brutte da spaventare e da nascondere con il nulla assoluto che è evanescente, imprendibile, non scalfibile.
 

Che mondaccio, signor Gubbio, che mondaccio è questo! Che schifo! Ma pajono tutti… che so! Ma perché si dev’essere così? Mascherati! Mascherati! Mascherati! Me lo dica lei! Perché, appena insieme, l’uno di fronte all’altro, diventiamo tutti tanti pagliacci? Scusi, no, anch’io, anch’io; mi ci metto anch’io; tutti! Mascherati! Questo un’aria così; quello un’aria cosà… E dentro siamo diversi! Abbiamo il cuore, dentro, come… come un bambino rincantucciato, offeso, che piange e si vergogna!
(Da “Quaderni di Serafino Gubbio operatore” di Luigi Pirandello)
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