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Més que un club! Una squadra e una città decisamente fuori dall’ordinario

Barcellona è una città che fa sempre parlare di sé. Per i successi della squadra di calcio, ma anche per una vita politica da sempre molto vivace..

Barcellona è una città che fa sempre parlare di sé. Per i successi della squadra di calcio, ma anche per una vita politica da sempre molto vivace..

OPINIONI – Entrare al Camp Nou, il monumentale stadio di una mitica squadra di calcio – il Futbol Club Barcelona – è un’esperienza straordinaria. Non è un caso che sia il luogo più visitato della Catalunya. Una scritta campeggia nelle tribune: “Més que un club”. Perché? Perché quella, con la sua storia ultracentenaria, i suoi successi e le sue sventure, è appunto molto più di una squadra; è il simbolo per eccellenza di una città e di una terra che hanno davvero qualcosa di speciale.

La Catalunya ha una propria lingua, una storia e un’identità specifiche, per nulla riducibili al predominio castigliano. Una peculiarità che è alla base, ad esempio, dell’epica vicenda autogestionaria degli anni Trenta del Novecento, quando a Barcellona si è realizzato il più significativo esperimento di un ossimorico governo anarchico, che ha provato a cambiare il corso della storia ed è stato brutalmente represso dalle falangi e dall’esercito di Franco. Trentacinque anni di dittatura fascista hanno tentato di schiacciare l’identità di un popolo che però ha resistito e che ha ritrovato pienamente il suo spirito radicale, come dimostra la vivacità dei catalani degli ultimi decenni, e come hanno clamorosamente palesato anche le elezioni amministrative svoltesi in maggio.

Un cammino di lotta che la squadra di calcio dalle casacche blaugrana ha accompagnato, assecondato, sostenuto. Un presidente – Josep Sunyol – ucciso nel ’36 dagli sgherri di Franco, una subordinazione imposta politicamente dal regime allo strapotere del Real Madrid e del madridismo in generale, ma anche un gioco sempre originale e spettacolare, l’incrocio con l’Olanda di Crujiff, un fascino crescente, grandi campioni (per lo più allevati in casa, nella leggendaria Masia), e – in tempi più recenti – straordinari successi sportivi. Il tutto con un singolare e affascinante assetto societario: l’azionariato popolare. I “padroni” del club sono i soci – ai quali, per inciso, mi onoro di appartenere da ormai sette anni. Più di centocinquantamila membri della polisportiva che discutono, partecipano, decidono, eleggono gli organismi dirigenti, e sono parte attiva di una clamorosa esperienza collettiva. Nella recente finale di Champions League, la vecchia Coppa Campioni, che il Barcellona di Messi ha vinto per la quinta volta giocando a Berlino contro la Juventus, si è sottolineato questo aspetto: il club torinese appartiene da sempre a una ricca famiglia ai vertici dell’imprenditoria italiana; l’altra è una squadra di popolo, che ha un legame viscerale con la sua terra e i suoi tifosi.

Ai balconi della Ciutat Comtal, infatti, le bandiere del Barça si alternano con quelle catalane, segno del risveglio di uno spirito indipendentista che ha dimostrato al mondo tutta la sua forza nel settembre scorso. Milioni e milioni di cittadini (praticamente tutta una nazione) sono scesi in piazza nella Diada – l’11 settembre, festa nazionale, che ricorda la tragica sconfitta del 1714, quando Filippo v sottomise la Catalunya al regno di Castiglia – per chiedere una più larga autonomia da Madrid e dalla (piuttosto screditata) monarchia spagnola. Ho avuto la fortuna di mescolarmi con quel popolo nelle vie di Barcellona, e ne sono rimasto folgorato. Ci sono tutte le premesse per un cambiamento epocale. I segni di qualcosa di grande. E l’esito elettorale del 24 maggio per me ne è la chiara conferma. La maggioranza relativa è andata a un’aggregazione di forze radicali, “Barcelona en Comù”, ed è stata eletta sindaca – la prima “alcaldessa” della Ciutat Comtal – Ada Colau, una mia coetanea – ossia una quarantenne, ma ben diversa dal nostro incantatore fiorentino – leader dei movimenti di lotta per la casa, in prima linea contro gli sfratti, la speculazione immobiliare e lo strapotere delle banche. Intorno a lei, lucide intelligenze e grande coraggio di persone che vogliono davvero cambiare le cose, impegnandosi non solo a risolvere il problema abitativo della città, ma anche a ridurre le disuguaglianze e la disoccupazione e a migliorare la qualità della vita (iniziando dal riassetto del sistema dei trasporti e dell’energia) non solo a beneficio delle orde di turisti, ma per tutta la cittadinanza.

Sarà difficile governare, ma i primi passi sono quelli giusti, con l’apertura alle altre forze di sinistra – e fra esse quella che personalmente guardo con più simpatia, l’Esquerra Repubblicana de Catalunya, che in questi anni ha visto il suo consenso crescere enormemente. Anche la principale opposizione, però, è costituita da un partito indipendentista, la CiU, i nazionalisti moderati alla guida della regione con Artur Mas. Praticamente estinti i Popolari del governo nazionale di Mariano Rajoy. Quindi non una vittoria di Podemos, come hanno semplificato i nostri media, ma il trionfo di un progetto articolato di alternativa di società, che non si sa a cosa potrà portare, ma che intanto apre uno spiraglio (come del resto Syriza in Grecia) in uno scenario europeo asfittico, fatto di austerità, tecnocrazie e brutture varie. Un mirabile esempio di lotta e di governo da guardare con attenzione. Concedendosi, magari, di tanto in tanto, la gioia di andare al Camp Nou ad ammirare le prodezze di Messi, di Iniesta e degli altri talenti con la maglia blaugrana.

Come dicono tutti da quelle parti, visca el Barça i visca Catalunya!