Ma quella fede che ci accompagna
Cosa resta dopo 70 anni della fede, della fiducia, della speranza dei partigiani? Forse poco, se non l'esempio. In un paese sempre più diviso, sempre più sofferente ed ignavo, quanto farebbe bene una cura di quei sorrisi, di quell'ottimismo!
Cosa resta dopo 70 anni della fede, della fiducia, della speranza dei partigiani? Forse poco, se non l'esempio. In un paese sempre più diviso, sempre più sofferente ed ignavo, quanto farebbe bene una cura di quei sorrisi, di quell'ottimismo!
Sono figlia di un partigiano, non di un eroe, di un uomo, con le sue debolezze e i suoi slanci di generosità.
I primi racconti che ho raccolto sono i suoi e dei suoi compagni di montagna, di quando erano a Romagnese, sotto il Monte Penice, con Giustizia e Libertà. Ho una foto di lui e di un amico datata 1° maggio 1945. Sono a Milano, sono entrati arrivando da Pavia, dopo uno scontro a fuoco. Hanno visto il cadavere di Mussolini e della Petacci prima di piazzale Loreto, indossano divise americane e sorridono all’obiettivo, hanno vent’anni.
Un giovane come loro, partigiano come loro, di nome Italo Calvino scrisse poi un testo, Oltre il ponte, diventato una canzone musicata da Sergio Liberovici. Una strofa dice:
… Avevamo vent’anni e oltre il ponte,
oltre il ponte ch’e` in mano nemica,
vedevam l’altra riva, la vita,
tutto il bene del mondo, oltre il ponte.
Questo vedevano, la vita, tutto il bene del mondo, ecco perché sorridevano con le immagini di morte, fresche, negli occhi. Si firmavano “Ribelli della montagna”, come la canzone nata sul Tobbio dalla penna di un martire della Benedicta, Emilio Casalini, ed affrontavano il futuro con “quella fede che ci accompagna”, quella fede che mostrava un avvenire migliore. Cosa resta dopo 70 anni di quella fede, di quella fiducia, di quella speranza? Forse poco, se non l’esempio.
In un paese sempre più diviso, sempre più sofferente ed ignavo, quanto farebbe bene una cura di quei sorrisi, di quell’ottimismo! Invece la nostra amata e amara Repubblica affonda in abissi di pessimismo in cui non è dolce naufragare.
Gli Italiani, quelli che fatta l’Italia andavano fatti, si guardano allo specchio e non si piacciono, nemmeno quelli che per nazionalismo di facciata si dichiarano “orgoglioni” del loro paese. Ne hanno ben donde, quello che vedono riflesso sono loro stessi, uno spettacolo non edificante ed anche se, quasi sempre, sono altri gli Italiani di cui vergognarsi, sotto sotto un principio di marcio sanno di avercelo pure loro, magari non puzza ancora, ma dai tempo al tempo.
Come uscire dal pantano e guardare avanti, “oltre il ponte”? Credo che si dovrebbe ripartire da quei sorrisi di Italiani così imperfetti da essere stati fascisti, ma così fiduciosi nel futuro, e recuperare quello spirito, quella voglia di libertà e di giustizia e magari iniziare facendo tornare in patria quei cervelli che fuggono, dando loro la condizione per produrre idee.