Ebola: esiste un rischio per la provincia?
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Redazione - redazione@alessandrianews.it  
6 Agosto 2014
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Ebola: esiste un rischio per la provincia?

Roberto Raso, referente per le emergenze infettive del SeREMI della Asl Al risponde alle nostre domande sul virus che sta spaventando il mondo

Roberto Raso, referente per le emergenze infettive del SeREMI della Asl Al risponde alle nostre domande sul virus che sta spaventando il mondo

SALUTE – Roberto Raso, referente per le emergenze infettive del SeREMI della Asl Al fa il punto della situazione sui rischi di contagio in Europa e aiuta a fare chiarezza sulle “paure infondate” che ogni tanto vengono avanzate. 

Si sente sempre più spesso parlare con toni preoccupati del Virus Ebola. Perché fa così paura?


Nelle zone in cui è presente il virus fa molta paura perché è spesso rapidamente mortale a causa di emorragie diffuse. Sinora il virus aveva causato epidemie circoscritte e che erano durate poco tempo, anche grazie all’intervento delle autorità sanitarie locali e internazionali. Questa epidemia invece è iniziata nel dicembre 2013, si è estesa in tre stati di un’area geografica e continua nonostante gli sforzi delle autorità sanitarie. L’epidemia è iniziata in Guinea, si è successivamente estesa in Liberia e in Sierra Leone.

Qual è il periodo di incubazione, quali sono i principali sintomi? Che possibilità ci sono di sopravvivere se si contrae la malattia? Esiste una cura?
L’incubazione può raggiungere i 20 giorni. La malattia inizia con sintomi generici quali stanchezza, febbre improvvisa, dolori di testa per poi eventualmente causare diarrea e vomito e sviluppare in breve tempo emorragie diffuse. Tra coloro che sviluppano i sintomi, cioè che si ammalano, la metà può sopravvivere. Le stime non sono ovviamente precise perché nelle zone interessate dall’epidemia non si è certi che siano raggiunti tutti i malati ed è possibile che i meno gravi sfuggano all’osservazione. Ad oggi non esiste una cura specifica diretta contro il Virus. Le cure sono, quindi, di supporto, rivolte a contrastare i sintomi e le conseguenze della malattia. In questi giorni si parla di cure sperimentali riservate ai due sanitari statunitensi che sono stati contagiati.

Quali sono i rischi concreti che possa diffondersi anche in Europa? Come avviene di solito il contagio?
Nonostante il tempo di incubazione di 20 giorni, il rischio di importare un caso in Europa è molto basso ed estremamente minore è il rischio che si possa diffondere. Gli elementi che portano a dire questo sono molti.
La contagiosità è alta, ma il virus è debole. Il virus è infatti ucciso velocemente dalla luce solare, dai comuni saponi e detergenti, da un lavaggio in lavatrice, dal caldo ecc.
E’ quindi necessario un contatto molto stretto con i fluidi del malato (sangue, feci, vomito ecc). Per questo sono a maggior rischio i parenti stretti e il personale sanitario e non chi incontra per strada una persona infetta con sintomi iniziali e generici.
Le aree interessate dall’epidemia sono rurali e comunque sinora non urbane; sono in atto misure straordinarie, tra le quali la limitazione o sospensione dei voli aerei a lunga e media percorrenza.
Gli ingressi in Europa dai paesi interessati (navi, aerei, frontiere) sono controllati ed esiste uno specifico sistema di sorveglianza e allerta per eventuali passeggeri che mostrino sintomi sospetti.

Esistono protocolli particolari che il Ministero della Salute ha adottato rispetto al rischio di diffusione del virus?
Anche in Italia, dove peraltro non esistono voli diretti con quei Paesi, Il Ministero della Salute ha attivato specifiche misure di sorveglianza alla frontiera. Misure che sono attive anche nei confronti degli immigrati che giungono via mare, anche se la misura è estremamente prudenziale vista la diversa provenienza di quegli immigrati e i lunghi tempi che precedono il tentativo di ingresso.
Nell’improbabile caso di un ingresso di una persona malata esiste da tempo una rete di emergenza e specifici protocolli per l’isolamento della persona, le prime cure, il suo trasporto con mezzi speciali all’Ospedale Spallanzani di Roma, specificamente attrezzato e preparato per casi di febbri emorragiche.
Relativamente alla diffusione, infine, è molto importante considerare che la nostra struttura socio-culturale, l’informazione e la disponibilità di un sistema sanitario avanzato e capillare rendono possibile evitare la diffusione di una malattia come l’Ebola anche nell’improbabile caso che un viaggiatore arrivasse alla frontiera senza essere riconosciuto e intercettato prima dell’atterraggio o dello sbarco.

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