Caso Preiti, quando sparò ai carabinieri era capace di intendere e volere
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Redazione - novionline@novionline.net  
9 Dicembre 2013
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Caso Preiti, quando sparò ai carabinieri era capace di intendere e volere

Lo afferma il perito incaricato dai magistrati di stabilire se l'uomo sia processabile oppure no. Preiti voleva "trasformarsi in un eroe vendicatore, pubblicamente riconosciuto". I carabinieri colpiti sarebbero "soggetti su cui scaricare una cinica aggressività". E le lettere di scuse solo un modo per ottenere benefici nel processo.

Lo afferma il perito incaricato dai magistrati di stabilire se l'uomo sia processabile oppure no. Preiti voleva "trasformarsi in un eroe vendicatore, pubblicamente riconosciuto". I carabinieri colpiti sarebbero "soggetti su cui scaricare una cinica aggressività". E le lettere di scuse solo un modo per ottenere benefici nel processo.

ROMA – Luigi Preiti era capace di intendere e di volere quando ha sparato contro i carabinieri davanti a Palazzo Chigi. E non aveva alcuna intenzione di suicidarsi dopo l’attacco, come invece ha cercato di far credere. La perizia psichiatrica sulle condizioni dell’uomo entrato in azione in piazza Colonna il 28 aprile scorso, giorno di insediamento del governo guidato da Enrico Letta, smonta alcune circostanze emerse sino a ora e svela che l’attentatore non viveva affatto isolato. Luigi Preiti ha vissuto per molti anni a Predosa, dove ancora abitano l’ex moglie e il figlio. A Novi Ligure hanno casa il fratello e la sorella di Preiti. Dopo la separazione dalla moglie, l’uomo era tornato in Calabria.

La relazione del professor Pietro Rocchini – incaricato dai magistrati di stabilire se Preiti possa venire processato o se invece fosse al momento del fatto incapace di intendere e di volere – riferisce che Preiti aveva “un fortissimo senso di rivalsa nei confronti delle Istituzioni, dei politici , dei loro rappresentanti, con l’immaturo desiderio di trasformarsi in una sorta di eroe vendicatore, pubblicamente riconosciuto“. Non è vero, almeno a leggere l’esito degli accertamenti, che Preiti vivesse in una condizione di disperazione. Secondo Rocchini, l’attentatore presenta “un’affettività immatura ed egocentrica, le vittime nel suo racconto sono apparse poco più che soggetti su cui scaricare una cinica aggressività“. Non a caso viene citata l’ammissione dell’imputato: “La cocaina mi faceva parlare, stare bene, pensavo a divertirmi per partecipare al meglio alle mie seratine”. Secondo Rocchini, però, la droga non c’entra: “tale abuso non sembra neanche essere entrato nel processo mentale che ha determinato la decisione di Preiti”.

Il perito ritiene inoltre che le lettere inviate al brigadiere Giuseppe Giangrande per chiedere perdono, fossero “strumentali” a ottenere benefici in carcere e nel processo. Evidenzia infatti che “Preiti ha ripetutamente parlato dei suoi sensi di colpa per quanto commesso, ma senza un’autentica partecipazione emotiva”. E ancora: “La spinta suicidaria da lui riferita sembra essersi fermata a livello di pensiero senza alcun reale tentativo di messa in pratica”.

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