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“Basta giocare in difesa”, la Fiom del vorrei ma non posso
Fiom in fase di mobilitazione per lo sciopero del 17 maggio e la manifestazione del 18 a Roma, ma anche in "crisi di identità": "siamo sotto ricatto occupazionale da troppo tempo". E ancora: "è ora di smetterla di giocare in difesa". Ma per la manifestazione di Roma sono ancora poche le adesioni. In Kme dopo l'accordo "maledetto" partono le internalizzazioni
Fiom in fase di mobilitazione per lo sciopero del 17 maggio e la manifestazione del 18 a Roma, ma anche in "crisi di identità": "siamo sotto ricatto occupazionale da troppo tempo". E ancora: "è ora di smetterla di giocare in difesa". Ma per la manifestazione di Roma sono ancora poche le adesioni. In Kme dopo l'accordo "maledetto" partono le internalizzazioni
Mirco Oliaro ha chiamato i suoi a raccolta: martedì ad Alessandria, ieri a Novi, oggi a Casale, per spiegare perchè è importante aderire allo sciopero di 4 ore del 17 maggio e alla manifestazione di Roma del 18. Ma non è solo la crisi a colpire duro. E’ anche un ruolo e un modello sindacale che, come dicono Andrea Bernuzzi e Massimiliano Repetto, rsu Ilva, “va ripensato”. I nuovi “vogliono capire perchè scioperano o manifestano”. Non si incrociano le braccia per le direttive, e non se “ci sono le scarpe da andare a comprare di sabato o la grigliata da fare domenica”.
“Nonostante ci siano meno occupati, gli iscritti alla Fiom sono in aumento”, si consola Oliaro.
Si confrontano i delegati della aziende del novese Kme, Ilva, Schiavetti, Oda, Marcegaglia, Real.
“Il mio stato d’animo è contrastato” ammette Roberto Dellepiane, Rsu Schiavetti. Nell’azienda di Stazzano “abbiamo strappato un buon accordo, che conferma quello del 2008. Non ci sono, per ora, problemi occupazionali. Eppure…” Eppure i lavoratori “si scazzano su cose secondarie: sul fatto che lo straordinario feriale lo abbiamo portato al 35%, contro il 60% del sabato. Forse non sono stato capace io a trasmettere loro il fatto che, in questo momento, c’è chi i problemi li ha ben più grossi”. Basta voltare lo sguardo: ci sono i rappresentanti Oda (in 30 in cassa in deroga), Kme, reduce da un accordo maledetto che ha fatto scampare 95 esuberi; Marcegaglia, 70 esuberi, Bundy, 150 in cassa, Ilva, che solo ieri ha tirato un sospiro di sollievo con il dissequestro di Taranto.
Tra le maglie dell’accordo c’è infatti la voce “internalizzazione”. “Alcune delle mansioni che in passato erano state affidate a ditte esterne ora saranno rioccupate da dipendenti Kme. In realtà, per molti, si tratta di un recupero di posizione perse, perchè negli anni in cui si lavorava su 21 turni e serviva personale si era ricorsi all’esternalizzazione, con l’accordo che ai lavoratori passati all’esterno si sarebbe data comunque la possibilità di essere riassorbiti da Kme”. Si tratta, in particolare, della gestione del magazzino, della portineria dell’infermeria. Una ventina di posti in tutto che ballano, la maggior parte al reparto spedizioni. Ma grazie a quella clausola del riassorbimento “solo” una decina saranno “liberati” dalla mansioni in Kme e torneranno nei ranghi delle proprie ditte. Sempre in Kme il salvataggio dei posti di lavoro passa comunque per la cassa integrazione, siglata per la parte Spa (lavorazione ottone) per tre mesi, al posto dei contratti di solidarietà.
E se poi alla manifestazione di Roma aderiscono in una ottantina su oltre 3300 iscritti, “non si vengano a lamentare che non facciamo nulla. Perchè quando è ora di muoversi, si aspetta sempre che sia il vicino a farlo”.