“Diabete: se non è epidemia, poco ci manca…”
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“Diabete: se non è epidemia, poco ci manca…”

20 mila malati in provincia, di cui oltre 10 mila in cura ad Alessandria, e gli altri a Casale, Novi, Tortona e Acqui. Ma come ci si cura, e quali sono le eventuali complicazioni? Ne parliamo con Egle Ansaldi, direttore del reparto di Endocrinologia e Malattie Metaboliche dell'Ospedale SS. Antonio e Biagio

20 mila malati in provincia, di cui oltre 10 mila in cura ad Alessandria, e gli altri a Casale, Novi, Tortona e Acqui. Ma come ci si cura, e quali sono le eventuali complicazioni? Ne parliamo con Egle Ansaldi, direttore del reparto di Endocrinologia e Malattie Metaboliche dell'Ospedale SS. Antonio e Biagio

SALUTE – Ci accoglie in reparto con un sorriso, e ci illustra con orgoglio il funzionamento delle diverse attività legate al centro diabetico. Riconoscendo che, in effetti, “il diabete ha ormai una diffusione da quasi epidemia, ma non bisogna spaventare chi si ammala: curandosi correttamente, ci si convive serenamente”. La dottoressa Egle Ansaldi, direttore del reparto di Endocrinologia e Malattie Metaboliche dell’Ospedale SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo di Alessandria, non è certamente persona che cerca riconoscimenti di status: nel suo studio ci sono le sbarre alle finestre (“era la vecchia psichiatria”, ci spiega), e si avverte costante il rumore di discesa e salita del vecchio ascensore, al di là del muro. “Ma non importa: piuttosto, sono contenta che si siano recuperate, tramite le sponsorizzazioni delle bacheche pubblicitarie che si vedono nei corridoi del nostro ospedale, risorse per 15 mila euro con cui rimettere mano alla sala di attesa, per rifare i pavimenti e rinfrescare le pareti. Anche le condizioni del luogo in cui si viene curati, per un malato, hanno un peso da considerare”.
E, in effetti, dal reparto di Endocrinologia pazienti in cura (“raramente ricoverati: abbiamo 8 posti letto più uno di day hospital, utilizzati per i casi più gravi. E siamo uno dei reparti più attrezzati del Piemonte”) ne passano davvero tanti: sono più di 10 mila soltanto i diabetici in cura al centro, mentre almeno altrettanti gravitano attorno ai presidi ospedalieri di Casale, Tortona, Novi e Acqui, afferendo ad Alessandria solo per le situazioni più complicate. “20 mila malati di diabete in provincia – spiega la dottoressa Ansaldi – è probabilmente una stima per difetto: consideri che le statistiche nazionali parlano di una percentuale che si aggira attorno al 4-5% della popolazione. Ma la nostra è una provincia con età media molto elevata, e questo fa sì che probabilmente si viaggi su una percentuale un po’ sopra la media”. Proviamo allora a capire un po’ meglio cos’è il diabete, come si scopre di essere malati, e qual è il percorso di cura. “Molto essenzialmente – spiega il primario alessandrino – essere malati di diabete significa che la presenza di glucosio nel sangue aumenta, perché il pancreas non produce più insulina: che va quindi inserita nell’organismo dall’esterno. Malati di diabete quasi mai si nasce, quasi sempre si diventa. E i primi sintomi sono un bisogno di bere sempre più frequente, e naturalmente in parallelo la tendenza ad urinare molto spesso”. Esistono però due tipi di diabete, che la dottoressa Ansaldi ben inquadra: “c’è il diabete di tipo 1, che si manifesta prevalentemente nei primi anni di vita, come malattia autoimmune: il nostro organismo non riconosce più una parte di sé, e cerca di distruggerla. E’ il caso di cui dicevo prima: il diabete come malattia del pancreas: che però riguarda circa il 10% dei malati. Poi c’è il diabete di tipo 2, di gran lunga il più diffuso: colpisce per lo più gli adulti dai 40-50 anni in poi, ed è generato da altre cause, tra cui l’obesità, la cattiva alimentazione, l’ipertensione. In quei casi nella terapia si comincia con un trattamento dietetico, per poi arrivare, se e quando necessario, all’insulina in un secondo momento”.
Quanto pesa, tra i malati di diabete, la familiarità della malattia, ossia l’elemento “ereditario”? “Abbastanza, sicuramente. Ma ci si può ammalare anche senza altri casi in famiglia”, conferma Egle Ansaldi, che poi sorride: “Ma non spaventiamo i malati: il diabete è una patologia da curare seriamente, perché può anche generare complicanze cardio-circolatorie (ictus, infarto), insufficienza renale, cecità, amputazione degli arti (in primis il cosiddetto “piede diabetico”). Ma se adeguatamente curato con il diabete si convive, non deve fare paura: anche se è una malattia da cui non si può guarire”. E un elemento essenziale del percorso di cura è lo stile di vita: alimentazione corretta e controllata, e una costante attività fisica di tipo aerobico sono elementi essenziali. “Consigliamo ai pazienti le cui condizioni fisiche lo permettono – spiega Ansaldi – di effettuare lunghe camminate di tre quarti d’ora almeno 3 volte alla settimana, e abbiamo creato anche un gruppo che, con il coordinamento di un medico del nostro team, tutti i mercoledì pomeriggio alle 17,30 si raduna sull’argine del fiume, nei pressi del gattile vicino al cimitero, per una bella camminata di tipo nordico: per intenderci, quella che si effettua con il supporto dei bastoncini tipo sci, che consentono una postura più corretta ed efficace”.
Naturalmente avere in cura una “comunità” di 10 mila pazienti significa dover puntare molto sull’organizzazione del lavoro: “siamo un team straordinario, che conta oltre che sulla sottoscritta su altri 4 medici, e su un staff paramedico (infermieri, e anche due dietiste dedicate) di grande competenza e specializzazione: evidentemente però è necessario che i pazienti facciano riferimento a noi per visite periodiche, ma si autogestiscano i percorsi ordinari di cura, anche con l’aiuto dei famigliari”. Le terapie, soprattutto per il diabete di tipo 1, sono in costante evoluzione: accanto alle tradizionali tre piccole iniezioni quotidiane di insulina in occasione dei pasti, e per la notte, si sta ora diffondendo la tecnica del microinfusore, con monitorizzazione glicemica continua. “Abbiamo già circa 80 casi qui da noi, e circa 200 alle Molinette di Torino. In sostanza parliamo di questo micro computer (ce lo mostra, ndr), che rimane costantemente collegato al corpo del paziente con un micro ago, e emette insulina in maniera continua e controllata. Segnalando anche acusticamente quando è il caso di aumentare la dose, semplicemente schiacciando un pulsante. E’ una tecnica ancora abbastanza costosa (intorno ai 4 mila euro l’anno per l’oggetto, e altrettanti per i materiali, ndr), che per il momento riusciamo a fornire a casi particolari, come le donne diabetiche in gravidanza: grazie al microinfusore, possono evitare qualsiasi complicazione di salute per il feto, ed è davvero un bel risultato, frutto di una stretta collaborazione con la ginecologia del nostro ospedale”.
Ma il reparto di Endocrinologia e Malattie Metaboliche non si occupa solo di diabete: “curiamo anche ogni tipo di disfunzione ghiandolare – spiega la dottoressa Ansaldi -, a partire dalla tiroide, che è altra patologia molto diffusa. Essenziale è, da questo punto di vista, la forte interazione con diversi altri reparti: dalla medicina nucleare alla radiologia, dalla chirurgia all’anatomia patologica, e anche con i medici di base, che per patologie tiroidee e legate al diabete rappresentano certamente un supporto importante”. Infine, ma non meno significativo, il ruolo del volontariato: “L’Adal – sottolinea la responsabile del reparto di Endocrinologia -, ossia l’Associazione diabetici Alessandria, ci fornisce un supporto importantissimo, sia in termini di offerte e donazioni, che di volontariato effettivo e di coinvolgimento nelle attività che proponiamo ai pazienti. Per non dire dell’aspetto artistico: li vede tutti questi quadri, che rendono vivaci e gradevoli le pareti del mio studio, e di tutto il reparto? Sono di un pittore, nostro paziente, che si chiama Fracchia: siamo un gruppo insomma, e ognuno qui mette davvero a fattor comune quel che sa fare meglio!”

 

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