Come t’invento la bufala col social network
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Luca Piana - redazione@ovadaonline.net  
12 Aprile 2012
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Come t’invento la bufala col social network

Notizie vere e un po' meno vere: come si passa da leggende e miti a fatti comunemente riconosciuti nell'era dei new media

Notizie vere e un po' meno vere: come si passa da leggende e miti a fatti comunemente riconosciuti nell'era dei new media

 “Sarà vero? Sarà falso? Sara(h) Ferguson?” era il tormentone ideato da Ezio Greggio nella trasmissione televisiva Drive In, in onda negli anni Ottanta. Nonostante siano passati quasi trent’anni dalla gag, la maggior parte di noi prova ancora dei dubbi quando legge o ascolta una notizia: sarà autentica o sarà una “bufala”? Nel primo caso, una fonte vicina ai mass media riporta il fatto, il giornalista si accerta dell’autenticità dell’informatore e la notizia diventa in breve di pubblico dominio. La seconda opzione, invece, si diffonde con maggiore rapidità grazie al passaparola popolare che innesca una sorta di catena di Sant’Antonio.

Il tutto può avvenire a livello nazionale, come ha dimostrato il caso dei finti sopravvissuti della Costa Concordia, ma anche nella nostra zona il fenomeno non è da meno. Qualche tempo fa, ad esempio, è stato lanciato un allarme da alcuni cittadini di un paese dell’ovadese che denunciavano la scomparsa di un giovane dalla propria abitazione; nonostante la data dell’evento fosse prossima al 1° aprile, non si trattava di uno scherzo. La popolazione si è subito impegnata nelle ricerche dell’adolescente, che sono durate ininterrottamente dal mattino fino alla sera tardi. La storia si è conclusa con un lieto fine: il ragazzo era a casa sua e non è mai scappato da casa, mentre un paese intero aveva lanciato un allarme fidandosi del passaparola iniziato di prima mattina.

Una notizia del genere sarebbe stata perfetta per gli organi d’informazione, se fosse stata autentica. Eppure nelle ore del (presunto) rapimento, i “new media” (social network, blog) sono caduti nella trappola della disinformazione, con decine di messaggi scritti dagli utenti sull’accaduto. Questo è solo un esempio perché la lista potrebbe essere più lunga: furti e schiamazzi attribuiti regolarmente agli extracomunitari (il più delle volte falsi), storie che riguardano la sfera private delle persone (regolarmente inventate) rielaborate e messe in piazza, fino ad arrivare all’atavica paura dello “jettatore” con precisa indicazione del soggetto.

Con i social network il fenomeno americano del “citizen journalism” (cittadini che si improvvisano giornalisti in tempo reale in rete) fino a ora non ha prodotto buoni risultati: la maggior parte delle notizie che girano su quei siti sono “bufale”. Una soluzione per eliminare il problema della disinformazione online è stato recentemente studiato dal professore Juan Carlos De Martin, docente al Politecnico di Torino, che prevede la collocazione di un pop-up nella barra di Internet che certifichi la fonte della notizia, in base alle informazioni presenti nel database. Sicuramente questo potrebbe essere un buon deterrente per scoraggiare gli autori delle bufale on line, mentre per mettere a tacere gli allarmisti e il loro passaparola non basterà certo un pop-up.

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