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Viaggio nel mondo de “La Masnà” a partire dalle parole
Nel romanzo è cruciale luso del dialetto. E come tale si nota la diversità tra il linguaggio di Casale e quello dell'Ovadese
Nel romanzo è cruciale l?uso del dialetto. E come tale si nota la diversità tra il linguaggio di Casale e quello dell'Ovadese
A volte bastano poche decine di chilometri di differenza per passare da un mondo a un altro. Lo vediamo in “La Masnà” della nostra Raffaella Romagnolo (nostra sia perché ovadese sia perché fra i fondatori del nostro settimanale). Le protagoniste sono Emma, che nel 1935 va in sposa a un ciabattino zoppo e con lui abiterà nella Casa dei Francesi (così chiamata perché alcuni membri della famiglia erano andati a lavorare in Francia), sua figlia Luciana e la nipote Anna, che, nata negli anni Settanta, è la prima che può studiare e laurearsi. Come già osservato da alcuni critici, “La Masnà” è una sorta di romanzo di formazione per interposta persona.
“Le tre protagoniste sono donne forti”, ci dice Raffaella, “ma la nonna e la madre lasciavano le scelte importanti agli uomini. Progressivamente si emancipano, come in un romanzo di formazione che prevede però più voci, più personaggi: Luciana vive il miracolo economico italiano, lascia la campagna, fa l’operaia e scopre un mondo nuovo. Anna si laurea, ma è frenata dalla crisi economica, che già allora si stava manifestando. Il personaggio più infelice è senz’altro Luciana. Emma è sempre vissuta in un mondo nel quale erano gli altri a scegliere, per lei era normale, Anna vive in un’epoca nella quale, pur fra vari problemi, le donne possono essere protagoniste, Luciana ha dei fidanzati, va a lavorare in fabbrica, ma non ha il coraggio di prendere davvero in mano la sua vita”.
Raffaella Romagnolo è nata a Casale Monferrato, ma da piccola si è trasferita a Ovada. Nel romanzo è cruciale l’uso del dialetto: masnà significa indifferentemente “bambino” o “bambina” in dialetto. Ma è un dialetto ben diverso dal nostro: masnà non esiste in ovadese (dialetto che risente molto delle influenze genovesi) esiste in quello (molto più piemontesizzante) della vicina Cremolino (però si pronuncia suppergiù mashnò). Alcuni termini sono totalmente diversi, per esempio gli arbiun (piselli) in ovadese sono puiji, altri simili (ligera invece di legera per barbone). “Ho usato molti termini dialettali, perché sono legati a sensazioni che ho vissuto da bambina. Non si tratta però di un libro autobiografico: magari prendevo un dettaglio, un suono, un’immagine e da lì partivo inventando. Come ha detto una volta Giuseppe Pontiggia, è importante che funzioni sulla pagina, non nella realtà”
Ovada in questo romanzo c’è e non c’è. Quando Anna è bambina, la sua famiglia si trasferisce dal casalese in una cittadina che ha alcune caratteristiche di Ovada, ma non lo è del tutto. “È un posto ‘altro’ nel quale vanno a vivere: ho descritto la Milano – Sanremo che da noi è un evento e che loro invece non sentono, perché “stranieri”.