Impazza la polemica sulla liberalizzazione degli orari dei negozi
Categorie divise sul tema più discusso di questi ultimi due giorni: la liberalizzazione degli orari e delle aperture degli esercizi commerciali. Ma sulla materia, nonostante gli interventi delle associazioni di categoria, dei comuni e delle regioni a livello nazionale, vige ancora grande confusione sui limiti e sulle competenze. Cerchiamo di analizzare la questione
Categorie divise sul tema più discusso di questi ultimi due giorni: la liberalizzazione degli orari e delle aperture degli esercizi commerciali. Ma sulla materia, nonostante gli interventi delle associazioni di categoria, dei comuni e delle regioni a livello nazionale, vige ancora grande confusione sui limiti e sulle competenze. Cerchiamo di analizzare la questione
A far scoppiare il “caso”, sia a livello nazionale che a livello locale, è la questione della liberalizzazione degli orari (24 ore su 24 per 365 giorni l’anno) per gli esercizi commerciali, i bar, i ristoranti, i locali e i supermercati. Prevista dal decreto “salva-Italia” del nuovo governo Monti, dal 2 gennaio 2012 l’apertura no-stop dei negozi, sabato, domenica, feste e riposi infrasettimanali compresi è appena diventata realtà e già divide, sia sul fronte delle associazioni di settore che sul fronte politico. Ma in realtà bisogna fare qualche passo indietro nel tempo, ben prima della manovra del neo eletto governo di tecnici.
“Aperti 24 su 24, per 365 giorni l’anno. Un ‘sogno’ per i consumatori incalliti, un incubo per i piccoli commercianti”. Questo era il testo di un nostro articolo che risale al luglio dell’anno appena trascorso. Si fa riferimento alla legge numero 111 emanata il 15 luglio 2011, recante “disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”, che ha introdotto nuove disposizioni in materia di orario delle attività commerciali e dei pubblici esercizi, cosiddetta “deregulation”. Il contenuto della manovra estiva resta uguale, mentre vengono superate nel decreto salva-Italia alcune disposizioni “di luogo”: la liberalizzazione non interesserà solo più le città denominate “turistiche” o “città d’arte” , ma sarà estesa a tutti i comuni con un passaggio della norma “da sperimentale a strutturale”.
La libera apertura delle saracinesche ha creato scompiglio inizialmente nelle due grandi città di Milano e Roma, che sono state le prime ad adeguarsi alle nuove regole, con tutti i dubbi del caso da parte delle Regioni, competenti della gestione della materia a livello locale. Sembra infatti che sia stata la Toscana la prima regione ad aver fatto ricorso alla Corte Costituzionale, seguita nella giornata di ieri dal Piemonte. “La Regione Piemonte impugnerà davanti alla Corte Costituzionale l’articolo 31 della manovra Monti nella parte in cui si occupa degli orari di apertura degli esercizi commerciali. La manovra interviene su una materia che è di competenza regionale. Le valutazioni del genere devono essere fatte sul territorio, in base a specifiche esigenze. L’apertura indiscriminata, praticamente senza regole, non porta benefici per i consumi e, in compenso, causa grossissimi problemi ai piccoli esercizi già duramente colpiti”, ha dichiarato il presidente Roberto Cota (nella foto sopra a destra).
Tra le disposizioni, già presenti nella precedente manovra estiva sulle liberalizzazioni degli orari degli esercizi commerciali, vi è il rimando alle regioni il cui adeguamento sarebbe dovuto pervenire entro il 31 dicembre 2011. Scaduto tale termine tuttavia, anche in assenza di adeguamento, la novità scatta in tutt’Italia ad inizio anno nuovo, anche se gli Enti locali hanno tempo 90 giorni per adeguare i loro ordinamenti alla nuova disposizione statale . Anche perché non si può non tener conto della circolare del Ministero dello Sviluppo Economico (la 3644 del 28 ottobre 2011), che fa “piazza pulita” delle polemiche, ricordando che (anche se in riferimento alle disposizioni della manovra estiva), in tema di concorrenza la competenza è statale e afferma che anche in assenza di adeguamento da parte delle regioni, le nuove norme devono essere applicate senza dilazioni.
(Continua a leggere a pg 3 punto 2 della circolare ministeriale)
Oltre alla reazione “politica” delle Regioni, sono le associazioni di categoria ad essere sul piede di guerra, contrarie di fatto al regime degli orari liberi. La Confesercenti, a livello nazionale, ha fatto pervenire a fine dicembre un appello a tutti le Regioni rivendicando la competenza in materia: il timore è che ad avvantaggiarsene sia la grande distribuzione penalizzando i piccoli negozi e gli esercizi di vicinato. Questa era la stessa motivazione data a luglio 2011, al tempo dell’annuncio della legge 111 sulla deregulation, dal direttore provinciale di Alessandria della Confesercenti, Michele Frizza: “E’ questo un grande regalo a favore della Grande Distribuzione ed una mazzata al tessuto della piccola e media impresa”. Tant’è che già allora per contrastare questo provvedimento si era parlato di “illegittimità costituzionale e illogicità economica e sociale”. Ad oggi, invece, causa il grande scompiglio su questo tema e sui cambiamenti nel decreto Monti, la Confesercenti di Alessandria non si esprime, e aspetta che a dare le “regole” sia il Comune. Ma da Palazzo Rosso, la Direzione del settore Commercio, rappresentata da Gianpiero Cerruti, dal canto suo dice di non avere nessuna decisione da prendere, essendo un’ordinanza che in via sperimentale era già attiva ad Alessandria e sostenendo come a dover scegliere sugli orari debbano essere i singoli commercianti.
Anche Ascom sembra non aver gradito la “no-stop” prevista dal decreto salva-Italia: ecco il commento del presidente dell’Ascom provinciale, Luigi Boano, a dicembre quando si parlava già di liberalizzazioni. Poco convinto dell’utilità del provvedimento è il presidente di Ascom di Novi Ligure, Massimo Merlano (nella foto a destra). “Le vere leggi di sviluppo e concorrenza del commercio le fa il mercato!”. E prosegue spiegando: “Se fosse così semplice aprire più ore o più giorni per incassare di più e magari assumere nuovi collaboratori, probabilmente lo avremmo fatto da qualche decennio senza aspettare il parere di esperti saccenti. E’ il mercato che dirige e condiziona l’offerta commerciale anche in termini di orario. Un esempio ovvio e banale sono i negozi delle cittadine del mare che nei mesi estivi restano aperti fino all’una di notte ma che a febbraio e marzo non aprono neppure di giorno”.
Poi in riferimento specifico alla zona del novese sottolinea come “commercio, turismo e artigianato rappresentano in termini di occupazione il comparto più importante. In queste imprese a conduzione prevalentemente familiare si tratta di occupazione ‘vera’ con contratti a tempo indeterminato e anche rispetto per il lavoro dei collaboratori e dipendenti. Questo è il vero patrimonio da difendere e conservare”.