Ovada: viaggio nel Pronto Soccorso
Un caso concreto di pneumotorace vissuto in prima persona: la presa in carico, i controlli, le cure aspettando il trasferimento in Pneumologia
Un caso concreto di pneumotorace vissuto in prima persona: la presa in carico, i controlli, le cure aspettando il trasferimento in Pneumologia
Per chi non lo sa: è il polmone che si “ripiega” su se stesso sospinto dall’aria di una bolla, malformazione congenita, che si è rotta spontaneamente. Ancora a casa cerco di infilarmi le scarpe, non riesco a piegare in avanti il busto. «Non può non essere niente», penso.
All’interno dei locali del Pronto trovo un’infermiera e spiego cosa succede. L’attesa è molto breve, il tempo di occuparsi di un bambino che torna a casa assieme alla mamma.
Trovo la dottoressa Wilma Giacobone, le infermiere. Mi fanno accomodare sul lettino per misurare l’ossigeno. Nel frattempo arriva il tecnico di radiologia reperibile. L’attesa anche in questa caso è breve, mi trasferiscono sulla sedia a rotelle. Solo che il tempo non passa mai è come se si allungasse a dismisura. «Mi sa che stanotte mi tengono qui», spiego a mia mamma. Arriva la conferma: il polmone sinistro è schiacciato. «Capita alle persone snelle e alte», mi dicono. «Snello ok. Ma alto…», penso. Ancora sulla sedia a rotelle la dottoressa Giacobone mi fa l’emogas analisi. Mi spiega che a volte è sgradevole ma necessario: l’ago entra nel polso e succhia un po’ di sangue. È un attimo. Poi la telefonata a Castellazzo Soccorso per un trasporto in Pneumologia in Alessandria.
È’ un flash: la situazione è più seria di quanto avevo percepito fino a quel momento. Arriva in 45 minuti. Prima arriva la dottoressa Elena Toriello, anestesista che sarà con un’infermiera con l’ambulanza. Quest’ultima è a Novi al momento della chiamata. Spiega ai miei genitori la situazione: «Non voglio parlare difficile», inizia. Sono già sulla barella, con l’ossigeno.
Il viaggio “mi vola” anche se il dolore si fa più significativo. Sulla strada mi fanno parlare per controllarmi. Arrivo in Pneumologia, passando per un Pronto soccorso affollato. Sono le 23.00. Trovo il dottor Lorenzo Grecu, le infermiere che fanno la notte. Mi rassicura, mi stendono sul fianco destro. Anestesia locale. E poi l’intervento: mi infilano un piccolo tubo dal fianco sinistro per consentire all’aria di uscire e dare sollievo al polmone. Mentre lavora Grecu mi spiega passaggio per passaggio, la voce rassicurante di chi l’ha visto tante volte. «Sentirà un dolore dietro ora, è il polmone». È come se si strappasse qualcosa. Qualche colpo di tosse.
Mi lasciano tranquillo per qualche minuto, poi mi portano in reparto. Ora c’è solo da aspettare ma il peggio è passato. La notte trascorre tutto sommato tranquilla ma per diverse ore dormire è impossibile. Ripenso a quello che è successo, al modo in cui sono stati rassicuranti a Ovada mentre gli eventi mi catapultavano in una realtà impensabile poche ore prima. Penso anche a quanto abbiamo parlato di sanità su questo giornale (e i nostri colleghi sui loro) negli ultimi tempi. Tutti lo facciamo partendo sempre dal piano politico, ragionando di macroquestioni. Non si parla mai di professionisti seri e preparati che coscienziosamente fanno il loro lavoro giorno per giorno. Anzi, quando si parla di fatti specifici, di solito è per errori. Il senso di quest’articolo è quindi quello di riparare a un torto. Ci sono persone che possono fare la differenza.
Il polmone sarà poi messo “in aspirazione” per due giorni per stimolare il ritorno alla sua normale forma e funzionalità. Due lastre successive confermano che tutto è andato per il meglio. Sarà lo stesso reparto di Pneumologia a occuparsi dei controlli che mi attendono.